08 | Il capo

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Era trascorsa mezz'ora. Era ancora seduta ai piedi del letto, con una coperta premuta contro il petto.

Guardai il capo della sicurezza parlare ai suoi dipendenti. Sembrava piuttosto furioso e devastato. Avevo perso il conto di tutte le volte che si era scusato con me.

Ero al sicuro ora, ma il mio corpo continuava a tremare.

Un'impiegata donna era seduta al mio fianco. Mi stava rassicurando che tutto sarebbe andato bene e che questo episodio non si sarebbe mai più ripetuto.

Rifiutai la cioccolata calda che mi avevano offerto per calmarmi. Al contrario, continuavo a mormorare, "Questo è un disastro. Davvero, davvero poco professionale."

Il fatto che una delle sue guardie avesse infranto il sistema di sicurezza e mi avesse attaccata in quanto inquilina di quest'edificio, mi faceva ribollire il sangue nelle vene.

"Non eseguono i test prima di assumere una persona?" Constatai a denti stretti. "Non ci sono scusanti. Qualcuno deve prendersi la propria responsabilità per questo. Hanno compreso di aver assunto una persona che dovrebbe essere rinchiusa in un centro psichico?"

La donna al mio fianco si scusò di nuovo, ma io scossi la testa.

"Non mi interessa. Questo è davvero inopportuno ed inappropriato per una residenza ben conosciuta come questa, si vocifera che sia la più sicura della città."

La reputazione di questo edificio, così come quella del proprietario, sarebbero presto stati infangati dai media e non mi sentivo minimante in colpa per questo.

Se papà avesse scoperto questa cosa, avrebbe dato fuoco a questo appartamento fino a ridurlo in cenere e si sarebbe assicurato che ogni singola persona sul pianeta Terra venisse a conoscenza dell'accaduto. Ora che ci ripensavo, non potei evitare di guardare il mio cellulare sul letto.

Non avevo ancora chiamato mamma e papà. Erano ancora all'oscuro di ciò che era accaduto. La ragione per cui non glielo avevo ancora detto, era che mio padre mi avrebbe trascinata in Texas di nuovo e nella mia mente era in corso un dibattito sul raccontarglielo o meno.

Avevo lavorato duramente per essere accettata in questo programma di scambio universitario e non volevo che tutti i miei sforzi svanissero a causa di una sola notte.

Era molto allettante il pensiero di far restituire tutti i soldi a papà, dal momento che questo posto non se li meritava. Ma nuovamente, non volevo perdere l'opportunità di studiare a Seattle.

"Signorina Spencer," il capo della sicurezza si avvicinò a me, con un'espressione di colpa sul volto. "Le rinnoviamo il Nostro dispiacere per l'accaduto. Non ci sono scuse, questo incidente è capitato a causa di un nostro errore. Il nostro Amministratore delegato, il proprietario dell'edificio, sta già arrivando. Vorrebbe scusarsi di persona."

Sbuffai. "Perfetto. Infatti potrei fare causa a tutti voi per l'accaduto. Non vedo l'ora di vederlo," il mio tono era davvero molto sarcastico verso la fine della frase, ma non mi importava.

Sarei potuta finire in ospedale stasera. Avrei potuto essere stuprata. Peggio -- Avrei potuto essere uccisa.

Il capo della sicurezza fece un respiro profondo. Il suo volto pallido mi fece comprendere quanto fosse stressato. "Mi dispiace che debba aspettarlo, Signorina Spencer. Il nostro Amministratore Delegato era ancora in ufficio, ma quando ha sentito dell'accaduto è partito subito. Sta venendo dritto a casa. Sarà qui a breve."

Deglutì, estremamente spaventato, come se preferisse morire che confrontarsi con il suo superiore. D'altro canto, era stata un'altra parte della sua frase a destare la mia curiosità.

Socchiusi le palpebre. "Casa?"

Lui annuì rapidamente. "Sì, Signorina Spencer. Vive anche lui in questo edificio. All'ultimo piano."

Sollevai il sopracciglio. Ah sì, l'attico.

Il capo della sicurezza si scusò nuovamente, quando un'altra guardia venne a riferirgli qualcosa. La sua voce fese l'aria, riprendendo la squadra assegnata allo stesso gruppo di Nico, soprannominato lo psicopatico.

Mi morsi il labbro inferiore, guardandoli parlare. Il capo della sicurezza non sembrava preoccuparsi degli altri inquilini presenti sul piano, dal tono alto della sua voce.

"Questo non causa problemi ai vicini?" Chiesi all'impiegata al mio fianco. "Se lo scoprissero, non diventerebbe un problema? Sono sicura che diventerà virale come notizia."

Non potei evitare di sentirmi irrequieta, perché nel caso questo episodio fosse venuto a galla, anche mio padre l'avrebbe scoperto. Non avevo visto le teste dei vicini sbucare dalla porta.

La donna scosse la testa. "Non c'è nessun altro in questo piano al momento, Signorina Spencer. Solo lei."

Quell'informazione mi fece spalancare gli occhi. "Cosa?" Ripetei con disappunto. "Ma non è possibile. Sono sicura che quando ho acquistato questo appartamento, tutti gli altri nel piano fossero occupati."

La donna sospirò. "Ha ragione, Signorina Spencer. La maggior parte di loro, però li comprano per aumentare il patrimonio e metterli, magari in affitto. Non vivono realmente qui. Viaggiano molto all'estero."

Spalancai la bocca. Non potei evitare di pensare al peggior scenario possibile, se non avessi chiamato l'operatrice in tempo. Anche se avessi urlato con tutto il fiato che avevo in gola, nessuno mi avrebbe potuta sentire.

Strinsi i pugni sulle cosce, sentendomi più frustrata che mai. Prima che potessi riaprire la bocca per parlare, un movimento davanti alla porta principale catturò la mia attenzione.

"É arrivato," mi informò la donna, leggermente in panico, "Il proprietario è arrivato, Signorina Spencer." Si alzò e con lei, tutte le persone presenti, si irrigidirono.

Un uomo apparì dalla porta, sembrava decisamente pericoloso. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, era chiaro che si fosse mosso rapidamente. La sua mascella era contratta, dettaglio che mostrava chiaramente la sua infelicità per l'accaduto.

Il respiro mi morì in gola quando notai i suoi lineamenti a me familiari.

Alto, capelli scuri e spalle ben piazzate. L'uomo, vestito in un elegante completo, entrò nella stanza. Ogni suo movimento urlava autorità.

Era il capo, l'unico in carica e colui del quale le persone avevano paura, soprattutto dopo l'incidente di stanotte.

E questo è l'uomo il cui nome mi fa ancora stringere il cuore per il dolore ogni volta che lo pronuncio, per ciò che era accaduto due anni prima.

Lui è Aiden Klein.

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