Capitolo 19 Confidenze

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Durante la notte la febbre risalì e ritornò il delirio, come se il cielo, per la mancata conversione dell’uomo, avesse deciso di ritrattare la grazia concessa.
Anzela pregò e vegliò, senza stancarsi; con ogni riguardo si prodigò nell’alleviare la sete intollerabile del malato e ne bagnò la lingua e le labbra riarse per volte innumerevoli; lottò contro la febbre bruciante e sistemò impacchi sulla fronte, sugli incavi delle braccia, sulla sommità del petto, mentre Caterina solerte l’assisteva, e rinnovava in ogni istante, nell’intimo del suo nobile cuore, il giuramento fatto alla marchesa Estebana.
Il principe, nel baratro dell’incoscienza, in preda al vaneggiamento si ritrovava ad inveire contro il suo assassino e gl’indirizzava minacce ed insulti; a volte s’arrestava e volgendosi ad Anzela, invocava il suo nome con dolce irruenza o le esprimeva il suo bisogno di lei. La voce era tenera, sprezzante o minacciosa in funzione dei sogni che egli faceva e il volto pallido madido di sudore s’incavava in smorfie corrucciate o si distendeva fino a lasciar affiorare sulle labbra un sorriso leggero.
In rari istanti apriva gli occhi e la fissava in silenzio, mentre china su di lui adagiava un drappo bagnato sulla sua fronte bollente.  Ma spesso gridava e la implorava di salvarlo, mentre le afferrava il polso con dita di ferro e la supplicava di non scappare via.
Anzela era sorpresa della resistenza fisica del suo corpo e della forza interiore che la sosteneva. La consapevolezza che vi era del soprannaturale in ciò che accadeva allargava il suo cuore di gratitudine per l’Onnipotente, per la misericordia dimostrata nei suoi riguardi. Con fiducia continuava a supplicare che quell’uomo si salvasse perché l’aiutasse a sottrarre alla morte Mighele.
Dopo ore e ore di veglia, Caterina svenne e Jacopo spaventato l’obbligò a riposarsi. Persuasa la moglie, l’uomo s’avvicinò ad Anzela e pregò che anch’ella si ristorasse, offrendosi di sostituirla nell’assistenza del principe, ma la fanciulla con decisione rifiutò. Aveva fiducia che il soccorso divino non avrebbe permesso ch’ella cedesse alla stanchezza.
Non passò molto tempo che la febbre cominciò a calare e il giudice, dopo un lungo sospiro, dischiuse gli occhi. Appena la scorse al suo capezzale, domandò da bere. Sentiva la gola secca e rovente in maniera insopportabile.
Anzela bagnò la solita pezza di cotone e fece per accostargliela alla bocca, ma l’uomo le scostò la mano.

–Voglio bere!– sbottò –brucio! Datemi dell’acqua!

–Non posso– replicò la fanciulla –è pericoloso per voi. Il dottor Nelson ha raccomandato d’aspettare ancora qualche giorno.

–Ho sete! Capite? Devo bere!– gridò il malato.

Nonostante egli mostrasse il solito atteggiamento scostante, Anzela s’impietosì poiché sapeva che soffriva; addolcì la voce e con pazienza gli riaccostò la pezza bagnata alla bocca.

–Abbiate fede– mormorò –non sarà a lungo. Presto starete meglio.

–Siete certa di questo? Non morirò?

–No signore, non morirete. Io confido nella bontà di Dio; non capite? Egli vi sta dando un’altra possibilità d’emmendarvi.

Il principe mostrò con il corrugare delle labbra di non condividere le sue parole. Disse:

–Dio! … Parlate di Dio! Ma Dio non esiste.

–Perché dite così, eccellenza?– replicò Anzela –Dio c’è e ci ama, io ne ho la certezza.

–Sono spiacente per voi … Dio non c’è, è una pia illusione.

Anzela percepì nel tono una nota di amarezza e ne restò colpita; avrebbe voluto lanciarsi in difesa di Dio, con tutto l’entusiasmo del suo cuore ardente di fede, ma sentì che non l’avrebbe persuaso; non era in grado di farlo, non ne aveva il potere. Provò tuttavia il desiderio di capire. Ella sospettava che nel passato del principe don Giulio Ravaneda ci fosse un mistero, … un evento doloroso forse? Sì, un evento così angoscioso d’aver provocato in lui il rifiuto della fede.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora