Capitolo 19 I testimoni

12 5 2
                                    

L’interruzione durò un quarto d’ora, poi la Reale Udienza rientrò nella stanza. Gli scrivani e l’avvocato d’ufficio ripresero il loro posto e fu chiamato il primo testimone.
Entrò uno degli uomini che nella strada avevano insultato il capitano Cerrati, portava camicia e brache bianche, aveva folti capelli scuri e l’aspetto trascurato.
Il Reggente gli indicò la sedia dietro al banco e fece cenno al  primo giudice di procedere. Gli venne chiesto il nome e la professione. Egli rispose: Mino Piga, calzolaio. Gli si domandò di giurare sulla bibbia ed egli ripeté il testo che gli avevano messo davanti, poi il solito giudice gli chiese di raccontare ciò che sapeva del reato in oggetto e d’essere molto breve e chiaro.
Il signor Piga si raddrizzò sulla sedia e si schiarì la voce con un colpo di tosse.

–Signor giudice, signori– cominciò –ho ben poco da dire. Passavo davanti alla bottega di Antonio due giorni or sono, insieme a mio fratello, che è qui con me, e può confermare le mie parole.

–Sentiremo dopo suo fratello– precisò il giudice Ravaneda.

–Sì, signore.

–Prosegua.

–Dicevo, appunto, passavo davanti alla bottega e poiché era ancora aperta mi son affacciato per guardare. Vede, signor giudice, l’ora era già avanzata e Antonio non rimane spesso aperto fino a tardi.

–Tuttavia succede che il signor Baghino non chiuda all’ora stabilita?

–Passo spesso di là, per rientrare nella mia abitazione, e qualche volta l’ho visto parlare con un cliente fuori d’orario d’apertura.

–Bene. Continui.

–Mi sono affacciato e non ho visto nessuno. Ma la lanterna sul banco era accesa.

–E non ha pensato che fosse nel retro del negozio?

–Sì, l’ho pensato.

–E non ha provato a chiamarlo?

–Nossignore.

–Come mai?

–Perché la porta era chiusa e non si udiva alcun rumore. Antonio non tratta mai con nessuno nel retro.

–Si ricorda che ora fosse?

–Certo!– esclamò il calzolaio –Ho chiuso la mia bottega alle otto e saremo passati là davanti circa dieci minuti dopo.

–Bene, scriva segretario, ore otto e dieci.

Dopo il signor Piga Mino fu chiamato il fratello Mario che ripeté la stessa deposizione e confermò l’orario.
Il terzo testimone era la donna. Anzela la guardò con tutta l’attenzione possibile dalla posizione sovrastante in cui si trovava: aveva circa trenta, trentacinque anni, i capelli lunghi e gonfi neri, un trucco pesante sulla faccia. L’ampia scollatura del bustino grigio lasciava intravvedere buona parte del seno generoso ed ella con grandi sorrisi s’ingegnava nel mostrarlo con molta disinvoltura a tutti i giudici ma in particolare al Reggente che sembrava attirare maggiormente il suo interesse. Questo atteggiamento, insieme agli altri particolari, contribuiva a rafforzare la convinzione di Anzela che quella signora non fosse di morigerati costumi.

–Volete indicare il vostro nome e il vostro mestiere?– disse il primo giudice.

–Certo vossignoria– rispose con voce suadente la testimone –Sono Marisa Meloni.

–La vostra professione?

–Non ho lavoro, signor giudice.

–Siete sposata?

–Non proprio.

Il giudice guardò il Reggente che rassegnato gli fece cenno di soprassedere sulla questione.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora