Capitolo 1 Il congedo di Alfio

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Il giorno dopo Anzela ricevette una lettera da Mighele che le annunziava il suo prossimo ritorno, tra due, tre giorni al massimo. Poche righe, come abitudine del fratello, che era d'indole riservata e non si poteva definire un chiacchierone, in cui raccontava d'aver completato il suo incarico e manifestava la sua gioia di rivederla molto presto. S'intravvedeva nel testo la preoccupazione per la sua sorte e Anzela ne soffrì ricordando che Mighele si riteneva ancora responsabile della sua infelicità e si struggeva d'esser costretto a lavorare per un uomo che non stimava per nulla; ella fremeva dal desiderio di consolarlo e palesargli la sua nuova situazione, rivelando come Dio avesse guarito il suo cuore, nonché di mostrargli, con l'evidenza dei suoi stessi occhi, quanto fosse mutato il suo atteggiamento verso il marito.

Tuttavia due giorni dopo arrivò una seconda lettera: Mighele con rammarico avvisava d'un contrattempo e della necessità di rimandare il viaggio d'un altro mese; Anzela ne soffrì, ma considerò che Dio, nella sua saggezza, avesse disposto quel ritardo per qualche benevola ragione e si rassegnò all'attesa.

Nel frattempo, col consenso del marito, ottenne che Lena si trasferisse presso Auro e Maria e, non soddisfatta, visitò la famigliola sempre più di frequente, e mai a mani vuote. Nonostante le proteste di Maria, si prodigò per l'assistenza alla piccola Nina che soleva apprezzare in maniera evidente la sua compagnia. Non che parlasse, ma il volto era lieto e, al percepire la voce della giovane baronessa, s'agitava nel letto così come poteva, muovendo le braccia e facendo cenni perché essa si avvicinasse subito presso di lei. Anzela aveva grandi speranze che la piccola migliorasse di salute.

Don Giulio, costretto dal lavoro ad assentarsi spesso, aveva dato disposizioni al cocchiere d'accompagnarla ovunque ella desiderasse, ma al suo rientro al castello la trovava sempre lì, sulla soglia, ad aspettarlo, premurosa e innamorata. Egli non riusciva ancora a capacitarsi ch'ella lo amasse e, incapace di contenere la gioia ardente che lo bruciava, soffriva d'angoscia nel timore di perderla da un momento all'altro. Allora, nella sua debole fede, pregava e supplicava l'Onnipotente d'aver misericordia di lui e non privarlo della giovane moglie a motivo dei suoi peccati.

Auro s'impegnava con passione nel nuovo lavoro di podatario, tutelava gli interessi del padrone, ma non poteva scordare d'esser stato egli stesso agricoltore e d'aver sofferto la povertà e la disgrazia; per questi motivi riportava al giudice tutte le lagnanze e intercedeva per coloro che sapeva essere veramente indigenti o, per difficoltà imprevedibili, impediti a versare le tasse.

***

-Signora ... il capitano Cerrati desidera incontrarla.

Caterina si mostrò preoccupata della visita inaspettata, soprattutto perché il padrone di casa non era ancora rientrato. Anzela la rassicurò con un sorriso.

-Alfio!- esclamò -fallo entrare!

Il giovane capitano s'inchinò leggermente con il tricorno sottobraccio.

-Baronessa ...- disse.

Ella si rattristò della freddezza del saluto e subito gli corse incontro e gli prese la mano.

-Alfio!- disse -Sono contenta di vederti.

Egli sollevò appena le labbra in un sorriso stentato.

-Volevo salutarti ... prima di partire.

-Te ne vai?

-Torno in Piemonte. Il congedo è finito e il Re reclama la mia presenza.

Poiché non cessava d'esser formale e appariva serio e distante, ella lo lasciò e andò a sedersi di fronte a lui. Disse:

-Sei ferito. Sono addolorata.

-Non posso accettare che tu rimanga con quest'uomo dopo quello che ti ha fatto. Non lo capirò mai, Anzela.

-Fatico anch'io a credere che sia successo ... eppure lo amo, lo amo così tanto da provare dolore ogni volta che si allontana da me.

Alfio fece una smorfia e annuì, rimise il tricorno e mostrò di voler congedarsi.

-Quando partirai?

-Tra qualche giorno. Passerò il comando al capitano De Marco che spero concluderà le ricerche sul barone Carillo. Quel farabutto è irreperibile, ma mi auguro che De Marco riesca ad individuare al più presto il suo nascondiglio.

-So che il giudice ha offerto una grossa somma per chi fornisce informazioni utili a rintracciarlo.

-Sì. La taglia sarà utile a questo scopo.

-Non ti rivedrò più?

-Temo di no, ma ti auguro ogni bene.

***

Lo stallone nero sterzò davanti al cancello digrignando i denti per lo strappo violento del morso, gli angoli della bocca schiumavano.
Don Giulio discese e l'afferrò per le redini strattonandolo al suo fianco mentre il focoso animale protestava con scarti della testa. Un servitore gli corse incontro e s'impadronì delle briglie.

-La signora è in casa?

-No, signore, non è ancora rientrata.

-Si trova presso i Ferrando?

-Sì, signore. È rimasta lì tutto il giorno. Non è rientrata per il pranzo.

Don Giulio s'incuriosì.

-Caterina è con lei?- domandò.

-Sì, signore.

Era la prima volta che Anzela evitava di venirgli incontro al suo rientro. Pensò che forse era successo qualcosa, che forse la ragazzina o il bambino si erano sentiti male.

-Vado dai Ferrando- dichiarò. Montò in sella e il servo gli passò le briglie.

-Avvisa che preparino presto per la cena- ordinò -io e la signora saremo qui in meno di un'ora.

Il servitore annuì e don Giulio spronò il cavallo.

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