Capitolo 17 Il processo

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Anzela circondò con le dita il legno ruvido del corrimano del ballatoio e lo strinse forte. Poi chiuse gli occhi un istante, ma fu costretta a riaprirli poiché la sensazione di vertigine s'era accentuata. Respirò, restò immobile e attese che lo stordimento s'affievolisse. Appena si sentì sicura, ma senza staccare le mani dalla ringhiera, rigettò un'occhiata alla sala con rinnovata attenzione.
Al centro della stanza c'era il banco in cui sedeva l'accusato in catene e al suo fianco l'avvocato d'ufficio, un uomo robusto e dall'aspetto trascurato, con radi capelli grigi legati con un fiocco sulla nuca, che tamburellava con le dita sopra il piano di legno. Di lato c'erano i due tavoli degli scrivani ma solo uno era occupato, da un giovane nobile, intento ad ordinare delle carte.
In piedi stavano le guardie armate; Anzela ne contò cinque dietro il prigioniero, a tre, quattro passi da lui, e, dietro le guardie, coloro che erano stati ammessi all'udienza, i testimoni, i parenti, in tutto una decina di persone. Altre due guardie erano presso la porta e in mezzo a queste stava un secondo uomo, nerissimo di capelli e scuro di pelle, magro e dall'aspetto malconcio, anch'egli incatenato mani e piedi. Vicino alle due guardie c'era l'ufficiale, il capitano De Marco.
Il primo giudice comparve sulla soglia e subito dietro s'introdussero tutti, l'uno dietro l'altro con aria solenne, senza degnare d'uno sguardo il pubblico eterogeneo e umile che al loro avanzare s'era sentito in dovere di cessare ogni discussione, e il silenzio quasi totale perdurò finché tutti quei magistrati ebbero occupato le rispettive poltrone; dopo di loro entrò un altro individuo, anche lui imparruccato, ma meno imponente, che s'affrettò a raggiungere il tavolo ancora libero, quello degli scrivani.
Anzela si stupì perché il marito non era tra loro.
Si percepiva un mormorio sommesso nella piccola folla, che non s'arrischiava ad alzare la voce, per timore d'esser forse zittita dai gendarmi, e un chiacchiericcio distaccato dei giudici che parlavano del più e del meno senza badare all'aria mesta del contadino o alla triste curiosità dei presenti.

Maria stava in prima fila, dietro ai gendarmi, silenziosa, e di tanto in tanto allungava il collo o si sollevava sulle punte dei piedi per superare le spalle dei soldati o rintracciare degli scorci di visuale tra l'uno e l'altro, ansiosa d'osservare il marito che le voltava la schiena: Auro era curvo, con gli avambracci gravati dalle catene distesi sul piano del bancone. Accanto a Maria, immobile come una statua greca, c'era Lena, che la sorpassava in altezza di almeno una testa, nera come la notte. I capelli scuri legati sulla nuca, il viso pallido, le labbra senza un filo di colore, non riuscivano a privarla della solenne bellezza che ispirava la sua persona, anche con l'espressione rigida e fredda che ne impressionava i lineamenti.

Il marchese di Rivarolo, Carlo Amedeo Battista, viceré di Sardegna, varcò la soglia seguito dal Reggente La Reale Cancelleria. Il bisbiglio cessò d'improvviso e tutti volsero gli occhi verso i due uomini che dritti come pioppi s'avviavano ai posti assegnati. Il viceré, che con la lunga parrucca bianca pareva molto più vecchio di quanto in realtà fosse, si accomodò sulla sua sedia sopra la predella e si nascose in parte allo sguardo di Anzela a causa del baldacchino che la sormontava.

Il giudice Ravaneda sollevò gli occhi e guardò la giovane moglie che seguiva il processo dal ballatoio e ne incrociò lo sguardo tormentato. La parrucca bianca, più corta di quella del viceré, gli dava un'aria più severa e distante. Egli si sporse verso uno degli scrivani bisbigliando qualcosa, poi si rivolse al viceré sempre con voce sommessa e infine si orientò verso l'avvocato della difesa che cominciò ad agitarsi sulla sedia.

-Dobbiamo acquisire la testimonianza dell'ultimo dei banditi- mormorò -poi il suo cliente potrà deporre.

L'avvocato annuì. Don Giulio fece cenno ai due gendarmi presso la porta di condurre il prigioniero.
Josto Caredda, poiché di lui si trattava, sembrò risvegliarsi e raddrizzò la schiena, si divincolò dalla presa delle guardie che gli avevano afferrato le braccia.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora