Capitolo 7 Il ferimento

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Quando don Giulio, trascinando con forza Anzela dietro di sé, risalì i ripidi gradini del sotterraneo e raggiunse il corridoio che portava alle cucine, Caterina che lo seguiva ansante gettò uno strillo. Si era rammentata d'un altro pericolo che non era stato preso in considerazione: l'ingresso di servizio del castello. Questo accesso, usato dal personale per trasportare le merci nella dispensa, era sprangato con una robusta inferriata le cui chiavi possedevano soltanto in tre: il principe, Caterina e Jacopo. L'ingresso introduceva verso una rampa di scale che saliva al pian terreno fino alla porta di ferro del magazzino della cucina. Questa porta restava in genere sempre aperta. Caterina ricordò d'aver incaricato Jacopo di portar su alcuni sacchi di farina poco prima che don Giulio lo chiamasse e lo inviasse ad avvisare i gendarmi dell'attacco dei contadini.

-Signorino Giulio!- gridò -La grata! Forse non è stata rinchiusa!

-La grata? Quale grata?

-L'ingresso del magazzino!

Le ante della porta della cucina si spalancarono con strepito. La figura alta e massiccia di Auro si delineò nella fioca luce del corridoio. Era scarmigliato e il volto rude pareva quello d'un pazzo; indossava la mastruca che gli dava parvenza d'un animale selvaggio e tra le mani stringeva un fucile.
Caterina gettò un urlo di terrore.
Don Giulio al vederlo impallidì.

-Tu? ... Cosa fai qui? Come osi?- sbottò.

Auro digrignò i denti. Il trovarsi davanti l'uomo in cui aveva confidato e che gli aveva promesso giustizia, attizzò il fuoco che gli bruciava il cervello.

-Maledetto!- gridò -Infame!

-Come osi rivolgerti a me come a un tuo pari? Miserabile! Scostati!- ringhiò il giudice.

-Oso! Io oso! Chi siete voi se non un criminale? Come posso chiamare altrimenti un uomo che ha assolto il carnefice della mia bambina? Miserabile io? No! Giustiziere!

-Sei pazzo? Lasciami passare o ti farò impiccare!

-No, cane, cane maledetto! Sarai tu a morire!

Sgomenta, lo sguardo stralunato, Anzela sbirciava i due uomini che si fronteggiavano con arroganza. La collera che animava l'intruso era così tangibile ch'ella, se fosse stata in grado, sarebbe scappata e a gambe levate, poiché intuiva che presto uno dei due avversari avrebbe ucciso l'altro. Tuttavia ogni tentativo di sottrarre la mano dalla ferrea stretta del principe otteneva di accentuare la morsa delle dita vigorose che la avvinghiavano.

-Per l'ultima volta- ringhiò don Giulio furibondo -per l'ultima volta pezzente, fatti da parte!

La voce sprezzante, gli occhi freddi, neri come le tenebre e alteri che il giudice gli aveva conficcato addosso, dai quali non traspariva traccia di rimorso, il ricordo di Nina distesa nuda per terra nel freddo impiantito di casa, il ghigno di sfida di Carillo dopo la sentenza di assoluzione condussero Auro oltre quel limite morale che un uomo come lui, onesto e timorato di Dio, in tutta la sua esistenza non avrebbe mai pensato di superare.

-Cane! Cane!- gridò - Per Nina! Muori! Muori! Muori!

La canna del fucile si sollevò repentina verso il giudice. Poi, senza quasi prendere la mira, Auro sparò.
Il rumore del colpo, l'urlo immediato di Caterina coprirono il gemito del giudice Ravaneda che s'era accartocciato in avanti, lo sguardo incredulo puntato verso il suo vassallo. Poi piombò sulle ginocchia con le due mani contratte sull'addome.
Anzela si ritrovò improvvisamente libera.
C'era una chiazza di sangue che andava allargandosi sul pavimento in pietra sotto le ginocchia del giudice. Terrorizzata, incapace di muoversi, ella fissava il biondo e massiccio contadino di fronte a sé che brandiva il fucile fumante, per presentire se avrebbe ancora sparato contro di lei o Caterina.
Auro dal canto suo era sconvolto e non sapeva decidersi: era meglio darsi alla fuga immediata o indugiare e sbirciare l'odiato nemico che agonizzava? La collera s'era quasi placata e affiorava dentro di lui la gravità e ineluttabilità dell'atto compiuto. E adesso?
Il principe era steso sul piancito su un fianco mentre fuori di sé, Caterina, presso di lui con le ginocchia immerse nel sangue non cessava d'urlare.

-Aiuto! Aiuto! Signorino Giulio! Signorino Giulio! Vergine Santa! Salvatelo! Pietà! Assassino! Assassino!

Auro prese coscienza della presenza di Anzela mentre distoglieva gli occhi dalla governante impazzita.

-Chi siete signora? Io vi conosco- mormorò dolcemente.

Ella annuì tremante:

-La locanda ... il tribunale. ricordate? Ero presente al processo... sono la baronessa Anzela Esgrecho.

-Perché siete qui? Cos'avete a che fare con quest'uomo?

-Nulla! Nulla ...ero tenuta rinchiusa al castello ... contro la mia volontà- spiegò lei brevemente.

-Non vi capisco e non ho tempo di capire. Fuggite! Fuggite, signorina, perché qui tra un attimo, giungerà una folla inferocita e temo per voi se sarete trovata in questo luogo.

Fuggire!, pensò Anzela, e dove?

-Andate ... presto!

-Non lasciatemi sola- supplicò. Il giovane contadino la scrutò sorpreso.

-Ora mi ricordo di voi! Stavate con quell'ufficiale piemontese ... Che ne è stato del barone Sanna, madamigella?

-Oh vi ricordate ... È stato giustiziato.

-Giustiziato!

-E come sta la vostra figliola?

Auro la fissò, stupito che sapesse di Nina.

-È in fin di vita- mormorò -ha tentato il suicidio.

-Oh no!

-Potete capire perché odio quest'uomo con tutto me stesso?

Anzela annuì.

-Comprendo i vostri sentimenti, ma non posso giustificare ciò ch'avete fatto.

Le urla di Caterina riportarono gli occhi di entrambi sul principe raggomitolato al suolo. Le mani dell'uomo erano contratte sulla ferita nell'inutile tentativo di attenuare il tremendo dolore all'addome. Il flusso di sangue sgorgava copioso come un fiume impazzito.
Urla e spari e gemiti di dolore segnalarono ai quattro che era scoppiata la battaglia tra i ribelli e le guardie del castello. Auro suggerì ad Anzela di non indugiare ancora.

-La mia borsa ... - replicò la fanciulla -devo andare a prendere la borsa ... - ho tutte le mie cose lì.

Le sue povere cose, non possedeva nient'altro, doveva andare a cercarle in quella stanza ... nel sotterraneo ... e poi scappare lontano da quel luogo, anche se non sapeva dove andare. Adesso, la sola cosa importante era allontanarsi da quell'uomo malvagio che stava morendo ai suoi piedi.
Auro insisté che lasciasse tutto prima che fosse troppo tardi. Le consigliò le scale del magazzino poiché nessuno dei contadini conosceva l'accesso da quella parte e l'avvisò che l'avrebbe attesa vicino alle stalle, per un certo tempo ma non a lungo.

-Fate presto ... vi porterò al sicuro- asserì.

-Non scapperai furfante!

Il moribondo, con l'ultimo fiato che gli restava in corpo, s'era risollevato su un gomito. Un fiotto di sangue gli gorgogliò sulla bocca e straripò in un rivoletto lungo l'angolo delle labbra.
Auro lo fissò con disprezzo.

-Spero che sarete ancora in vita- dichiarò con ferocia -quando i contadini giungeranno qui. La vostra testa sarà fatta penzolare dalla torre più alta. Questo vi aspetta brutta canaglia ed io ve lo auguro con tutto il cuore!

-Infame!- esclamò il giudice.

Senz'altro indugio Auro s'infilò nella porticina di ferro e sparì.
Il principe capì d'essere alla fine. Con un fil di voce ricordò a Caterina il passaggio segreto e la pregò di portarlo lì per impedire che i rivoltosi s'impadronissero di lui e facessero scempio del suo corpo.
Altre urla e nuovi spari avvisarono i presenti che i ribelli stavano per penetrare dentro il castello.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora