Epilogo

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Il viaggio era stato pesante, lungo e interminabile.

Mighele si lasciò andare ai ricordi con lo sguardo disperso nei colori autunnali della campagna bagnata di pioggia che scendeva sottile a inumidire il terreno polveroso.

Lo stridio delle ruote, gli zoccoli dei cavalli gli rammentavano che presto avrebbe rivisto Anzela dopo quasi due mesi di assenza. Quel periodo di distacco obbligato era stato per lui una sofferenza: soffriva d'averla abbandonata con quell'uomo, suo marito, ch'ella aveva sposato perché lui, Mighele, fosse libero.

In quei mesi c'era stato il tempo di pensare. Aveva cercato mille soluzioni da proporle per staccarla da quell'individuo malvagio che s'era approfittato della sua ingenuità per piegarla ai suoi scopi per poi liberarsi di lei appena se ne fosse stancato. Tuttavia nessun'ipotesi lo soddisfava.

In lui s'agitavano sentimenti contrastanti che guidavano il cuore e le scelte: Quell'uomo s'era caricato d'un debito enorme per scarcerarlo, aveva acquistato la casa del babbo gravata da ipoteca e per finire lo aveva assunto al suo servizio procurandogli un lavoro, un ottimo lavoro. Come sforzarsi ancora d'impedire la gratitudine nei suoi confronti? Eppure aveva costretto Anzela a sposarlo!

Man mano che gli zoccoli divoravano il terreno egli pensava a quell'incontro con la sorella, a quegli occhi di smeraldo ch'avrebbero svelato al di là d'ogni finzione il doloroso segreto che celavano. Che non amava quell'uomo. Che l'aveva sposato per scampare suo fratello dalla forca.

Decise d'andare direttamente al castello e solo in seguito a casa sebbene fosse esausto dal viaggio, voleva per prima cosa rivederla e sincerarsi che stesse bene. Voleva che sapesse che lui era tornato e non avrebbe permesso che le succedesse più nulla di male.

Strattonò le redini per rallentare l'andatura dei due cavalli appena fu in vista della cancellata e l'attraversò al trotto insinuandosi nel largo viale alberato che conduceva al castello.

Poi notò Caterina affacciata alla porta d'ingresso che l'aveva intravisto, si agitava per dire qualcosa finché prese ad affrettarsi per raggiungerlo.

Mighele fermò il calesse con una brusca tirata.

–Oh signor barone ... – affannò –la signora non è qui. Vi aspettava ... ed è corsa ad accogliervi nella vostra tenuta!

–E il giudice?

–Ha voluto accompagnarla.

Con un cenno Mighele salutò e s'impegnò a far voltare i cavalli. Che stupido! Aveva mandato una lettera per avvisare che sarebbe rientrato e sicuramente Anzela come lui era ansiosa di rivederlo! Avrebbe dovuto pensare ch'ella sarebbe corsa ad aspettarlo a casa!

Sorrise della premura e dell'affetto della sorella e, sebbene infastidito dal fatto che fosse partita con il marito, trovò ch'egli era stato cortese nel venire con lei ad accoglierlo. Un momento dopo il giudizio cambiò: pensò che forse il principe desiderasse semplicemente conoscere l'esito dei suoi colloqui con gli acquirenti e l'opinione su di lui ritornò negativa.

La pioggia era cessata e un grandioso arcobaleno s'innalzava e s'abbassava in un arco perfetto, segno d'un Dio misericordioso e provvidente oltre ogni aspettativa umana.

La carrozza era ferma presso l'ingresso, Jacopo in cassetta teneva a freno i cavalli. Anzela era scesa e s'appoggiava mollemente al marito in delicata conversazione. Ecco l'aveva visto! Prese ad agitare la mano per salutarlo.

Mighele discese e a passo misurato andò loro incontro. Notò che don Ravaneda zoppicava e pareva sofferente in viso.

–Oh mio caro!– Anzela gli volò tra le braccia –Quanto tempo! Sono successe tante cose da quando sei partito e non vedo l'ora di raccontarti tutto!

Mighele restò sorpreso di vederla così serena e s'ingegnò a frugare all'interno dei suoi occhi per quel disagio celato che rammentava. Ma non trovò nulla. Ella pareva cambiata, l'aspetto era luminoso e felice.

S'informò per cortesia sull'infermità del cognato e il giudice rispose d'essersi infortunato per imprudenza.

Anzela volle raccontare la faccenda di Carillo e nel farlo mostrò per il marito tale preoccupazione che Mighele ne restò sconcertato: ella lo prendeva sottobraccio, lo guardava teneramente, s'accostava a lui senza timore ma anzi con un trasporto che se non fosse stato persuaso del contrario egli avrebbe giurato ch'ella ne fosse perdutamente innamorata.

Ci volle altro tempo perché s'accertasse e convincesse della mutata condizione della sorella. Ma presto comprese ch'era accaduto qualcosa di grande, d'inaspettato, di miracoloso. La tenerezza e l'affetto che Anzela dimostrava per il principe Ravaneda e la devozione con cui egli la ricambiava non potevano esser dissimulati. La diffidenza, la prudenza, lo stupore lasciarono posto nel giovane alla meraviglia e alla letizia.

Egli gioì immensamente della nuova situazione.

–Un giorno riuscirò a spiegarti com'è accaduto– gli promise Anzela –caro Mighele, sono felice! Infinitamente felice! Sappi che non potrei desiderare niente di più o d'altro. Amo mio marito con tutto il cuore e anch'egli mi ama. Questo ha fatto la misericordia dell'Onnipotente per me e per lui. Dio è grande! Rallegrati con me, Mighele, perché Egli provvede a noi in ogni istante della nostra vita.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora