Capitolo 23 Un patto infame

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Davanti all’imponente portone del castello, Anzela attendeva che la cameriera si ripresentasse con la risposta del giudice Ravaneda.
Era agitata, così agitata che il cuore saltava fino alla gola, ed era così impetuoso da darle pena di non poterlo reggere a lungo e di rischiare la morte. 
Cosa avrebbe pensato il giudice della sua visita improvvisa? L’avrebbe ricevuta oppure respinta con una scusa qualunque? E come si sarebbe comportato con lei dopo la sua risposta sdegnata alla festa del barone Corrias? Ah, se avesse potuto evitare d’incontrarlo! Ma non c’era che lui … l’unico che, grazie alla sua lunga amicizia con il viceré e col sovrano, aveva il potere di sospendere l’esecuzione del fratello.

–Mio Dio– pregò in silenzio –Muovi il suo cuore, perché mi ascolti. Senza il suo intervento Mighele è perduto!

Quando Martina si riaffacciò a ridosso dell’anta socchiusa, con occhi smarriti, Anzela ne scrutò nel volto l’espressione, attendendosi che il principe, per vendicarsi, l’avesse incaricata di comunicarle il suo rifiuto a riceverla.
La servetta con un sorriso mormorò:

–Il signor giudice l’aspetta, baronessa.

Tesa come una corda d’arco, Anzela diede un lieve sospiro di sollievo.
Seguì Martina e varcò la soglia del grandioso maniero. Si ritrovò al centro d’un’enorme sala; di fronte a lei s’ergevano i gradini d’una sontuosa scalinata rivestita in granito rosa la cui rampa s’alzava sino a un’ampia balconata. C’erano divani in pelle, tappeti pregiati, poltrone con sedili e schienali imbottiti e rivestiti in velluto; il tutto combinato in una elegante armonia di colori e forme che creava nel visitatore la sensazione di un ambiente lussuoso ma raffinato.
La cameriera proseguì il percorso sotto un arco, infilandosi in un ampio e breve corridoio che s’aprì in un altro salone, poi si voltò e s’inchinò per congedarsi, dopo aver avvertito la sua ospite che il giudice l’avrebbe presto raggiunta.
Rimasta sola, Anzela si guardò intorno.
La stanza era molto vasta e regale. Il piancito era ricoperto da preziosi tappeti e le pareti rivestite in legno o in arazzi. C’erano mobili splendidi intarsiati con motivi d’oro e in particolare un comò d’ebano, sormontato da una libreria, che dominava il centro della camera. Un tavolo in legno lucido circondato da sedie rivestite in velluto rosso, un divano in pelle e poltrone rivestite anch’esse in velluto sanguigno completavano l’arredo.
Lo sguardo di Anzela si arrestò stupito al centro della parete che le stava di fronte, dove troneggiava un quadro di notevoli dimensioni raffigurante il giudice Ravaneda. Era in piedi imponente, vestito di nero, e teneva in mano il libro delle leyes y pragmaticas del reyno de Sardeña. Il vederlo, anche se solo ritratto, le ricordò l’espressione maligna della festa e aumentò a dismisura l’apprensione per quell’incontro.

–Dio mio– supplicò –ho paura! Abbi pietà di me e soccorrimi!

In quel momento il principe fece il suo ingresso nella stanza alle sue spalle, silenzioso come un gatto. La sbirciò con curiosità mentre lei squadrava il dipinto, con profonda soddisfazione, un attimo prima di annunciarsi.

–Baronessa Esgrecho, che gradita sorpresa!– disse con voce melliflua.

Il cuore di Anzela balzò in gola, si voltò e al vederselo davanti agghiacciò senza riuscire a proferire parola. L’uomo era vestito interamente di nero, come nel quadro e portava la parrucca bianca che usava nelle cerimonie e in tribunale: alla povera fanciulla egli apparve ancora più imponente di come lo ricordasse.

–Prego, volete sedervi?– l’uomo le indicò con un cenno della testa una delle poltrone.

Era insolitamente gentile e la fanciulla rinfrancata un poco obbedì all’istante.

–Vossignoria si ricorda di me?– mormorò tremante.

–Molto bene– rispose lui scandendo con attenzione le parole.
Il suo tono si colorì d’una sfumatura di durezza ma Anzela troppo sconvolta non ci badò.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora