Capitolo 20 Il pugnale nello specchio

10 5 1
                                    

Dopo aver peregrinato più volte, con aria scontenta, dalla cucina alla sala da pranzo, Caterina si fermò. Il padrone non aveva toccato alcunché del buon cibo che gli aveva servito.

–Signorino Giulio– borbottò –non avete spiluccato nulla, neppure un pezzo di pane. Voi mi farete morire di crepacuore!

C’era un’ombra mesta nel volto del principe Ravaneda quando levò gli occhi e scrutò la donna, un sorriso si accennò sulle labbra, faticoso ma dolce, poi lo sguardo si fece inquisitorio e si chinò verso il suolo a osservare i grossi piedi avvoltolati in candide fasce.

–Oh … è tutto a posto– s’affrettò a dire la donna che, indovinata la preoccupazione del padrone, desiderando non gravarlo con altre pene, aggiunse – quasi quasi … non fa più male.

La rivelazione, breve e generosa, ottenne di rassicurare don Giulio. Il rimorso per l’incidente lo tormentava. Non si perdonava d’aver ceduto alla disperazione e messo a rischio la vita di Caterina, tuttavia l’angoscia per l’abbandono della moglie non s’era ancora attenuata. Annuì. Espresse la sua contentezza per il miglioramento avvenuto e la congedò:

–Ora puoi andare, Caterina, io cercherò di dormire– alzò il tono di voce –Lena?

–Jacopo ha chiuso la porta, signorino, come al solito, ma già s’era messa sotto le lenzuola.

–Meglio così.

Caterina fece per uscire, poi ci ripensò e ritornò sui propri passi.

–Che tristezza, signore! – esclamò –quella donna … Lena … sapete quanto s’era affezionata a vostra moglie, quasi fosse una figlia sua, e ora …. soffrirà tanto per la sua assenza.

Poi aggiunse sottovoce:

–La signora Anzela mancherà molto a tutti.

Don Giulio non rispose.

–Cosa farà di Lena adesso, signor principe?– domandò la domestica –non ha più d’accudire nessuno. Mi fa pena poveretta, ma non mi fido. Ha sempre un’aria corrucciata con lei, signorino Giulio, e temo che, senza la baronessa a mitigarne la collera, possa diventare pericolosa.

–Lo è sempre stata.

–Oh no! Con la signora s’intendeva bene e avrei giurato che s’era addolcita anche con voi! La signora le parlava di “perdono” e Lena stava a sentirla, signorino.

–Perdono!

–Sì, signorino Giulio, “perdono”. La signora Anzela l’incoraggiava a pregare, pregare molto, perché Dio le concedesse la grazia del “perdono”. Le spiegava che la vendetta non le avrebbe restituito la pace, ma solo Dio poteva donarle la pace del cuore.

Don Giulio si stupì. Anzela cercava di spingere Lena a rinunciare a vendicarsi, perché? Non aveva, essa stessa, motivo di odiarlo? La notizia gli procurò una dolce e intensa emozione. Dunque Anzela non provava più rancore per ciò che le aveva fatto? Lo aveva perdonato o almeno si sforzava di farlo …?
Gli riaffiorò il ricordo del tenero istante in cui l’aveva tenuta tra le braccia e del bacio rubato: Il dolore s’acuì ancora come uno stilo affilato nel cuore.

–Dio mio– sospirò – perché? Ho peccato, è vero, ma questo … questo!  Ah ti sei ben vendicato: m’hai punito con l’amore! Sì, lo ammetto: sono disperatamente innamorato di lei! Chi potrà liberare la mia anima dalla morte che vi soggiorna da quando lei se n’è andata? Come potrò continuare a vivere? C’è solo un pensiero che m’impedisce di cadere all’inferno: la consolazione d’averla resa felice. Ma è di così breve conforto!

Caterina lo vide mutare di colore e diventare così addolorato nei lineamenti che ne intuì la pena e se ne addolorò.
–Signore!

L’uomo s’accigliò.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora