Capitolo 2 un ospite inatteso

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-Il barone don Alfonso Carillo desidera incontrarla, signore.

Il maggiordomo si protese in avanti con un leggero inchino e mostrò il timido baluginare della grossa testa, scintillante sotto la vivida luce che filtrava dalle candide cortine delle finestre.

Il principe don Giulio Ravaneda sollevò le sopracciglia e le riabbassò corrugandole.

-A quest'ora?- protestò e fissò contrariato la giovane donna dai capelli color miele accomodata di fronte a lui al di là di un tavolino di cristallo. - Sa quanto mi dà noia essere disturbato all'ora dei pasti.

-Sarà per gravi motivi, mon cher- suggerì l'interlocutrice con un sorriso rassicurante dopo aver condiviso il suo sguardo sorpreso.

Il principe reagì con sarcasmo.

-Carillo? Gravi motivi? Avrà infastidito la moglie di qualche contadino!- esclamò.

Gli occhi azzurri, illuminati da lunghe ciglia ambrate si velarono di perplessità.

-Non sarà per qualcuno dei vostri affari andato male, mon amour?

A quelle parole don Giulio s'incupì, increspò le labbra e si afferrò il mento con le dita.

-Credo che dobbiate riceverlo, chéri- continuò la donna con voce suadente.

Il principe annuì.

-Avete ragione, mia cara. Sentirò cos'ha da dire.

Si alzò, s'avvicinò ad una cassettiera e sfilò dal primo cassetto la parrucca bianca da cerimonia, la indossò celermente e poi si dispose davanti alla porta, alto e imponente. Lo sguardo grave manifestava il suo desiderio di evidenziare all'ospite sgradito quanto fosse inopportuno. Rifletteva tuttavia che il barone non aveva mai osato recarsi da lui oltre le dodici del mattino, ed era raro, poiché in genere preferiva incontrarlo la sera e quasi sempre preavvisando del suo arrivo con un biglietto.

-Fallo entrare, Jacopo- ordinò.

Il maggiordomo dischiuse le pesanti ante con diligenza, costringendo l'uomo sanguigno e tracagnotto, che attendeva a ridosso, ad indietreggiare con un balzo.

-Finalmente!- s'udì borbottare.

Prima di muoversi, il visitatore lanciò un'occhiata impaziente dentro la sala, indugiò un poco nell'attesa che il solerte maggiordomo si sistemasse di lato allo stipite della porta, impettito e solenne per annunziarlo, e poi si lanciò all'interno della stanza con passi veloci.

-Il barone don Alfonso Carillo- annunciò Jacopo ad alta voce, ma l'uomo era già arrivato di fronte al principe e s'inchinava in segno di ossequio facendo fare una semi circonduzione al cappello.

-Principe, ho urgenza di conferire con voi in privato- mormorò, ma subito, accorgendosi della presenza femminile si raddrizzò, distese il volto in un larghissimo sorriso e di nuovo s'inchinò, più profondamente, con perfetta reverenza verso la signora.

-Marchesa d'Ancourt- disse -siete sempre più bella. Ritengo che non esista al mondo uomo più fortunato del nostro principe.

La giovane donna si schernì:

-Barone, voi mi adulate.

-Oh no, no! Sapete bene che enuncio una verità sacrosanta!

Don Giulio Ravaneda irrigidì la mascella cercando di nascondere l'irritazione per il fare troppo disinvolto del visitatore e si sforzò d'atteggiare il viso a un'espressione cordiale.

-Caro don Alfonso- proferì con tono ironico -non vi aspettavo ... in quest'ora.

-Chiedo scusa - si giustificò frettolosamente l'uomo - chiedo umilmente scusa, principe ...- ripeté -se mi sono permesso d'arrivare in un momento così scomodo per voi ... ma si tratta di cosa urgente, che non poteva aspettare.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora