Capitolo 9 A colloquio col Re

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Alfio indugiò un attimo prima di avanzare fino al valletto che l’aveva appena annunciato al sovrano, tirò un profondo respiro, si sforzò di distendere i lineamenti del viso e infine si drizzò impettito ed entrò a passi controllati nella grande sala.
Accanto a Carlo Vincenzo Ferraro di Roasio, marchese d’Ormea, ministro di stato del re nonché segretario agli affari esteri, stava il sovrano Carlo Emanuele III, in piedi al centro della stanza. L’ampio e morbido mantello rosso indossato sopra l’armatura, l’alto colletto bianco sul collo mascheravano la sua magra e gracile figura. La parrucca bianca abbondante discendeva dalle orecchie fino al petto in numerosi soffici boccoli.
Alfio s’inchinò con deferenza.

–Maestà.

Il re lo raggiunse con un sorriso affabile.

–Mio caro Cerrati– disse –Eccovi qua dunque.

–Sì, maestà, finalmente.

Il sovrano si fermò davanti al giovane capitano e sollevò lo sguardo verso di lui che lo superava di non poco in statura.

–Ho saputo che desideravate parlarmi.

Mentre si raddrizzava, Alfio evitò di guardarlo ma lanciò invece uno sguardo d’intesa al marchese d’Ormea. Era più di una settimana che aveva chiesto di vedere il re ma questi si era sempre negato.

–Sì, maestà– rispose –e sono grato al marchese Ferrero per avervi parlato di me.

–Già, già– tagliò corto il sovrano mentre l’interpellato accennava un sorriso sornione.

–Ho saputo che siete scontento del vostro incarico– cominciò Carlo Emanuele diventando improvvisamente serio –e che desiderate essere trasferito in Sardegna.

–No, maestà, cioè … sì. Insomma è vero che desidero essere trasferito in Sardegna, ma non perché sono scontento di servirvi.

–Di che si tratta, insomma? Sapete che ho piena fiducia in voi e che questo è un brutto periodo per me. I miei alleati stanno complottando alle mie spalle per strapparmi la Lombardia e restituirla agli austriaci, sono alle strette, capite?

–Temono il vostro potere, maestà.

–Credo che abbiate proprio ragione, caro Alfio. Il re di Francia, mi teme, teme l’estendersi del mio regno!

–Avete anche altri nemici, maestà: la Lombardia è una terra difficile … le famiglie nobili lombarde vi sono ostili, sono insofferenti verso la casa dei Savoia.

Il re annuì corrugando le labbra.

–Ne sono cosciente, capitano, essi temono per i loro privilegi. Ipocriti! Ho cercato ogni maniera per rassicurarli … – commentò –Non ho voluto imporre la mia autorità, cambiando la situazione di fatto. Ho chiamato alla giunta di governo i rappresentanti delle famiglie più nobili dell’aristocrazia locale, ho nominato magistrati i più illustri membri della loro borghesia togata, non è ancora sufficiente? Che altro si aspettano da me?

–I vecchi rancori sono duri a morire, maestà.

Carlo Emanuele tacque e s’incupì.
Il marchese d’Ormea ne approfittò per chiedere di congedarsi e ricevuto l’assenso, passò accanto al capitano e lo sbirciò di soppiatto, lanciando un sorriso che voleva essere d’incoraggiamento; poi gli sfiorò la spalla in una pacca amichevole e se ne uscì dalla sala.
Il sovrano riprese.

–Ma voi, caro Alfio, eravate qui per quella richiesta. Volete dunque abbandonarmi in questo momento così delicato?

–A malincuore maestà.

–E se vi negassi il trasferimento?

–Vi obbedirei, come sempre. Ma vi prego di non farlo.

Il re lo guardò di sottecchi, incuriosito.

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