Capitolo 18 Commiato doloroso

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Anzela si fermò dietro la porta, titubante. Non l'aveva più rivisto dopo la fuga e temeva ch'egli non desiderasse incontrarla. Le piccole nocche azzardarono un lieve tocco che tuttavia il padrone di casa percepì perché s'udì la sua voce roca borbottare:

-Avanti!

-Posso entrare?- mormorò la fanciulla, dopo aver aperto l'uscio quel tanto che bastava per infilare il capo e la spalla.

Don Giulio sussultò all'udir la sua voce, si voltò, commosso e confuso, e l'individuò seminascosta dietro la pesante porta socchiusa, i due fari verdi spalancati e tremolanti. Il volto bello, ma ancora pallido, denunciava che non s'era ancora ripresa dall'estenuante malattia.

-Ha paura di me, ha ancora paura di me!- constatò e una rabbia impotente gli ribollì nel petto facendolo esplodere in una risposta scortese.

-Cosa fate ancora qui?

-Pensavo che ... non volevo disturbare- balbettò la fanciulla -Sono qui per quel contratto ... il nostro accordo, ricordate? Avevate promesso ...

-Ah! ... Capisco! Entrate dunque.

Per un attimo il suo cuore aveva sperato l'impossibile, che fosse lì per dirgli che restava, che s'era resa conto di non amare il capitano ma lui, il principe. Che sogno! Non era lì nemmeno per congedarsi da lui, per un debole affetto che la frequentazione poteva aver destato tra loro, no! Desiderava procurarsi la prova del loro patto dannato, la prova che le avrebbe consentito di separarsi da lui per sempre e sposare quell'altro! La rabbia impotente si trasformò in tristezza.

-M'ero scordato- disse -Non pensate che l'abbia fatto apposta, signora, l'ho solo scordato, ecco tutto.

E mentre lei arrischiava qualche parola di scuse, egli aprì la ribaltina della scrivania e s'impadronì della busta col sigillo sanguigno, che era là dove l'aveva lasciata, sopra la pila di documenti ben ordinati all'interno, poggiata di sbieco quasi verticale. La prese e gliela porse rapido senza quasi poggiarle gli occhi addosso e poi voltò le spalle, fingendo di frugare tra le carte, come fosse impegnato in qualche altra importante mansione.

Anzela strinse la busta tra le dita, indugiò, balbettò il ringraziamento dovuto e fece per avviarsi alla porta.

-Sarà bene che v'incamminiate in fretta, signora- egli aggiunse rivoltandosi e i suoi occhi acuti si poggiarono su di lei con un'intensità che parve smentire la freddezza della voce - Madame d'Ancourt sta per giungere al castello e non vorrei che v'incontraste. Credo sappiate quant'ella sia gelosa.

Appena parlato s'accorse dell'errore. Perché le aveva raccontato quella menzogna? Perché tentare di farla scappare più in fretta se al contrario bramava ch'ella rimanesse per sempre con lui? Ah l'orgoglio! Perché non riusciva a gettarsi ai suoi piedi e a implorarla di non lasciarlo?

Ma ella vide e sentì solo l'apparenza, che egli desiderava sbarazzarsi di lei al più presto e, con un leggero inchino, si voltò e uscì.

***

C'era freddo nel corridoio e buio; rabbrividì accostandosi intorno al corpo i due lembi del mantello. Il freddo pungente era sceso anche nel cuore, insieme ad un'angoscia profonda. Non riusciva a capire. Non sapeva spiegarsi il perché le dolesse così tanto nell'animo: era un'oppressione, una sensazione fisica, dolorosa nel petto. Che le succedeva? Tutto le pareva privo di senso.

Era libera,... finalmente era libera!- si ripeté.

Alfio era lì, era venuto a prenderla e l'amava, nonostante l'accaduto, l'amava ancora, la desiderava come prima, voleva sposarla. Avrebbero cominciato insieme una nuova vita, e Mighele sarebbe stato con lei, sempre con lei, non si sarebbero più separati. Forse avrebbero vissuto tutti insieme nella casa di suo padre, che era grande, spaziosa, piena di luce.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora