Capitolo 11 Confusione

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Alfio arrivò alla tenuta che già l'oscurità aveva sostituito la luce grigia della sera; smontò e lasciò che il servitore conducesse il cavallo a ristorarsi nella stalla.
Un domestico lo annunciò nella stanza dove Mighele e Anzela stavano cenando ed entrambi si levarono per accoglierlo, ma con atteggiamenti diversi; la fanciulla, che non si aspettava di rivederlo, ne fu al contempo felice e spaventata: il saluto che gli rivolse, che nasceva da tale stato d'animo, anche se cordiale, risultò timido e imbarazzato. Nella mente di Anzela riaffiorava il fresco ricordo del loro precedente incontro e l'abbraccio pieno di passione che egli le aveva astutamente rubato; il ricordo le destava segrete emozioni che si sforzava con eroismo d'ignorare. Era più semplice rinunciare al giovane capitano se lo pensava lontano, in Piemonte, e dimentico di lei; era una dolce memoria da rievocare con prudenza, in qualche momento di debolezza e di maggiore mestizia. Ma l'improvvisa presenza del giovane in quel luogo, davanti a lei, alto, bello, innamorato, il suo sguardo ardente e deciso, la sua irruenza, scombussolava ogni audace piano di fuga e frantumava l'esile muraglia di certezze innalzata a difesa del suo povero cuore.

Ella dubitava di sé.

Paventava che s'egli avesse proseguito col manifestarle il suo affetto, ella non avrebbe potuto restare salda nella decisione presa, per riguardo a Dio, di fedeltà al matrimonio, e di consumar le nozze come aveva incautamente promesso al suo indesiderato consorte.
Alfio e Mighele non si erano più incontrati dopo il processo e divenne spontaneo per loro abbracciarsi con affetto e parlare della bontà della Provvidenza divina che aveva permesso che si ritrovassero.

Cenarono insieme e sembrò doveroso ai due uomini evitare nei discorsi quegli argomenti che avrebbero potuto provocare disagio o malumore in Anzela.
Dopo il pasto si rifugiarono nel salone e la conversazione continuò.

-Amico mio- cominciò Mighele -hai avuto il trasferimento in Sardegna?

-Ahimè, no- deplorò Alfio contrito -pare che il sovrano non possa fare a meno della mia presenza a Torino. Ho avuto un mese di permesso, dopo il quale purtroppo dovrò far ritorno in Piemonte.

-Dimmi ... è una decisione del sovrano o una tua decisione? Se, dopo la condotta di Anzela, tu avessi rinunciato al tuo progetto, non potrei biasimarti.

-Amico mio, era ed è mio desiderio restare qui ...ma il re m'ha negato l'assenso ed è stato irremovibile- tacque e osservò la fanciulla che mostrava d'ascoltare con atteggiamento tranquillo senza cambiare colore o espressione.

-Con tutto ciò- proseguì -egli m'ha concesso ciò che serviva al mio scopo: una licenza premio di trenta giorni ... per sposarmi! Come potevo immaginare che, in questo frattempo, la mia fidanzata avrebbe rinnegato la promessa fattami e, soprattutto che, a mia insaputa, avrebbe sposato un altro?

Anzela avvampò di vergogna e abbassò gli occhi per terra.

-Non dire così- lo rimproverò Mighele -tu sai tutto quello che mia sorella ha passato. È stata coraggiosa e s'è sacrificata per me, per salvarmi la vita.

Alfio sapeva d'essere in torto ma era furente poiché la fanciulla, nella preoccupazione ch'egli s'accorgesse dei suoi sentimenti, tralasciava spesso di fissarlo rifugiando gli occhi vergognosi sul viso del fratello.

-La colpa è mia- disse a denti stretti -non sarei dovuto partire. Se fossi rimasto in Sardegna forse avrei potuto evitare tutto questo.

Ma Mighele lo rassicurò in fretta.

-Amico mio, avevi scelta? O partire o esser considerato un disertore. Hai tentato d'intercedere per me presso il re ... e di questo ti ringrazio. Purtroppo la grazia non è stata concessa.

Mighele, data l'ora tarda, propose ad Anzela di ritirarsi e invitò l'amico a trattenersi per la notte, poiché riteneva importante continuare a discutere con lui sul loro futuro; egli desiderava inoltre avere notizie del testimone a cui Alfio accennava nella lettera e scoprire se le prove fornite da quell'uomo fossero sufficienti e inoppugnabili per accusare il giudice Ravaneda. Il capitano accettò con piacere.
La notte per Anzela fu un incubo. Il suo cuore, la sua mente vagavano smarriti alla ricerca della luce, sommersi dal peso di mille oscuri pensieri. Pregò con tutte le sue forze di arrivare a capire la decisione da prendere per obbedire alla volontà di Dio.
Don Giulio era colpevole? C'era un testimone che lo affermava con certezza. Eppure le era parso sincero nel momento in cui si discolpava ... aveva ammesso le sue responsabilità nel cercare di subentrare a suo padre nell'attività commerciale, ma si era dichiarato innocente di altre colpe. Mentiva? Da quando lo aveva conosciuto pareva cambiato, aveva salvato quel suo contadino e Lena dalla forca donando loro una seconda possibilità. Anche se non le riusciva di scordare come l'aveva violata e costretta a sposarlo, il suo cuore s'era intenerito nei suoi confronti e non disperava che un giorno avrebbe potuto provare dell'affetto per lui. Ma adesso ... c'era quell'accusa infamante, che rimetteva tutto in discussione e ... c'era Alfio. Il rivederlo aveva ridestato i sentimenti del passato e pensare di trascorrere tutta la vita con il principe Ravaneda, di fronte all'alternativa d'avere l'uomo che desiderava, appariva al presente una sofferenza troppo dura da accettare. Ma poi rifletteva ancora: non era per sempre ... ma finché egli non si fosse stancato di lei e avesse preteso l'annullamento del matrimonio.

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