Capitolo 21 I dubbi del caporale

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–Baronessa …

Martina s’affacciò sulla porta.
Anzela era seduta presso il letto e pareva immersa nei propri pensieri; alla voce della servetta si destò come dal sonno, la fissò con aria confusa, prima di riconoscerla.

–Il signor principe dorme?– la ragazzotta avanzò, gettò un’occhiata alla nuca del principe che voltato su un fianco pareva tranquillo, poi ritornò con gli occhi sulla baronessa e s’attardò prima di spiegare il motivo della sua presenza, finché non notò ch’ella aveva ripreso piena coscienza.

–Sì, sì riposa– confermò Anzela con voce sommessa ritenendo che Martina fosse lì per informarsi sulla salute del padrone.
La servetta annuì e annunciò:

–Baronessa, una persona chiede di voi.

Anzela restò un attimo perplessa –Una persona per me?– provò a ragionare di chi potesse trattarsi, ma non le venne in mente nessuno.
Martina sorrise e le lanciò uno sguardo d’intesa che la stupì.

–Oh sicuro, chiede proprio di voi!

–Ma … chi è?

–Un soldato, madamigella, un ufficiale– la giovane cameriera allargò il sorriso lasciando capire che il nuovo venuto godeva della sua approvazione –Jacopo m’ha chiesto di avvisarvi.

–Un soldato?– Anzela impallidì, il cuore le fece un balzo e senza che potesse impedirlo, le sgorgò dalla bocca un piccolo gemito di spavento. Un soldato! Alfio? Era tornato? Che cosa dirgli! Oh cielo … come giustificare la sua presenza al castello? … lui era lì per lei! E lei era indegna di lui!

–Un soldato … –ripeté –conoscete il suo nome?

–No, signorina– negò la servetta –perdonatemi! Jacopo me l’ha detto, ma l’ho scordato! Certo è che qui non s’è mai visto.
Anzela si risciacquò le mani e il viso nel catino, per recuperare la lucidità e si asciugò in fretta. Gettò una rapida occhiata allo specchio, che la rassicurò: l’acqua aveva lavato via la stanchezza della notte insonne; si riassettò i capelli un po’ disfatti, imprigionando qualche ciuffo ribelle sulla nuca, poi seguì la domestica giù per le scale. Aveva il cuore in gola, vacillava sulle gambe, correva e poi rallentava il passo e poi ancora correva e rallentava di nuovo, finché non arrivò fin quasi al salone.
Un uomo alto e robusto si trovava in piedi presso le cortine rimboccate della finestra, le voltava le spalle e sbirciava all’esterno. All’udire il passo dei nuovi venuti egli si voltò e sollevò gli occhi verso di loro.
Come riconobbe che non si trattava di chi sperava e temeva, Anzela ne ebbe un’improvvisa tristezza, ma fu lo smarrimento di un istante: con grande coraggio s’impose un contegno, sforzò il sorriso e avanzò decisa verso l’ospite.

–Caporale Testa!– mormorò tendendo la mano –Sono molto lieta d’incontrarvi di nuovo.

L’uomo parve sollevato nel vederla, ricambiò il sorriso, s’inchinò, prese le esili dita all’interno della sua grossa mano e le baciò con gioia evidente.

–Baronessa– disse – Sono felice di vedere che godete di ottima salute. Vi confesso che son stato molto in pena per voi.

–Per me?

–Sì, signorina. Vi ho cercata a lungo e invano, poiché nessuno ha voluto o potuto comunicarmi vostre notizie. Ho saputo di recente che la casa di vostro padre è stata sequestrata.

–Sì, sì, purtroppo.

–Il capitano Cerrati è molto in ansia per la vostra sorte. Mi ha incaricato di cercarvi e proteggervi a qualunque costo.

Al solo udire il nome del capitano, Anzela ne restò sconvolta, s’accomodò su una poltrona poiché l’emozione era tale da farle tremare tutte le membra. La tensione le s’indovinava in volto dal pallore improvviso ed ella ne era conscia, perciò si sforzava di mantenere il sorriso per non impensierire o insospettire il soldato. Ringraziò il buon Dio per l’ingresso di Jacopo che comparve con un vassoio in mano e si premurò d’offrire da bere all’inatteso visitatore. A lei porse, su un piattino d’argento, un calice, ripieno a metà d’un liquido color cremisi. Ella lo prese senza chiedersi cosa fosse e centellinò lo sciroppo sulla lingua: era buono e zuccheroso, le diede un sollievo immediato.

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