Capitolo 22 Dichiarazione d'amore

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–Che cosa è successo? Che cosa è successo?

Il giudice s’affrettò verso il letto dove la moglie, col volto sprimacciato sul cuscino, singhiozzava a dirotto come fosse in preda a profonda afflizione.

–Signora, parlate, cosa vi è accaduto?–gridò.

Ella non rispose e pareva incapace di fermare i fiotti di lacrime che sgorgavano copiosi dai bellissimi occhi verdi; l’uomo, stupefatto, ignaro della fonte di tale sconforto, osò accostarsi e sedersi all’orlo del capezzale dove, con grande sollecitudine, si sforzò di consolarla.

–Signora– sussurrò –che cosa vi turba? Non abbiate timore, per ogni cosa si può trovar rimedio. Su non piangete … cosa posso fare per voi? Qualunque cosa sia non ve la negherò, abbiate fiducia in me …

–No, no … non potete far nulla!– gemé la fanciulla –È tutta colpa mia!

–Che cosa? Di che cosa siete colpevole?

–D’esser venuta qui … d’avervi cacciato dal vostro letto. Oh, e di quanto altro ancora!

–Signora, non m’avete cacciato dal letto.

–Oh sì invece … perché allora sareste in piedi?

Il giudice sospirò.

–Anzela– mormorò con voce sommessa –Non posso pensarvi così ingenua … non sono un eunuco. Siete una donna desiderabile ed io un uomo debole. Temo che l’idea di condividere il letto con voi sia superiore alle mie forze.

–Ma l’avete già fatto, più volte… Cosa temete, signore?

–Che domanda assurda mi fate … vi ripeto … sono un uomo debole.

–Devo pensare che potreste …

–No! … No! … Ciò che è accaduto allora non potrebbe succedere ancora … io … io sono cambiato, signora.

–Vi dispiace dunque d’avermi preso con la forza?

–Più d’ogni altra cosa.

Anzela si sollevò seduta e accettò il fazzoletto che l’uomo le porgeva, s’asciugò gli occhi e soffiò timidamente il naso, poi chinando le ciglia, imbarazzata, disse:

–Ricordo ancora cosa mi diceste il giorno del vostro ferimento, lo rammentate? Diceste che eravate in collera con me per le parole di rimprovero che vi rivolsi per cercare di farvi recedere dal patto… mi fece tanto male capire che non eravate pentito della violenza usatami. Quanto mi addolorarono quelle vostre parole! Ma ora il vostro cambiamento mi riempie di gioia.

–Potrete mai perdonarmi?– azzardò il giudice.

Anzela rialzò gli occhi su di lui, e quegli occhi limpidi, che riflettevano lo stato del suo cuore, splendevano di luce.

–Don Giulio …io l’ho già fatto– disse –vi ho già perdonato. Desideravo farlo da tempo ma non ci riuscivo … Poi è successo … grazie all’intervento della Grazia divina.

Questa notizia recò nel cuore del principe Ravaneda un’immensa felicità; gli parve che la sua preghiera accorata al Creatore fosse stata accolta e un sentimento intenso di gratitudine gli affiorò al petto. Una preghiera di ringraziamento, silenziosa, si levò spontanea dal suo spirito verso quel Dio ignoto di cui aveva scoperto da poco la misteriosa presenza, che s’era chinato con misericordia su di lui, senza ch’egli n’avesse alcun merito.
Volle sapere tutto, quando fosse accaduto, e come la Grazia fosse intervenuta per il miracolo. Anzela, imbarazzata, all’inizio rifiutò, ma poi rifletté che non poteva evitare di dar gloria a Dio per la guarigione del cuore che le era stata concessa, così decise di parlare.

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