Capitolo 8 Una richiesta d'aiuto

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Caterina si disperò. Il corpo del giudice era troppo pesante per lei da trascinare via, anche perché egli, nello stato in cui versava, non riusciva ad esserle d'aiuto in alcun modo.
Risuonarono dentro di lei, in quel frangente, le ultime parole che aveva raccolto dalle labbra tremanti della giovane e sfortunata marchesa Estebana, madre del principe Ravaneda:

-Caty,... mia dolce Caty, voglio che m'ascolti ... io ti affido mio figlio, il mio Giulio. Temo per lui ... è così arrabbiato! Non vorrebbe che morissi ... ed io non vorrei lasciarlo ... ma Dio ha deciso altrimenti. Ti chiedo di proteggerlo, Caty. Da suo padre soprattutto ... cercherà di distruggere la sua anima, d'allontanarlo da Dio. Lo affido a te ... so che sarà in buone mani perché tu lo ami, come se fosse tuo ... Sii per lui presenza discreta, ma forte e non temere di parlare perché corregga il suo atteggiamento ... so che ti ascolterà: nutre un profondo affetto per te. E poi preghiere, preghiere. Non far mai mancare la supplica alla vergine Maria per lui. Io vi seguirò dal cielo ... Caty ... prometti ...

-Oh signora!- esclamò sgomenta - Aiutatemi voi! La promessa! Ho provato ... ho fatto ciò che potevo ... e adesso? Oh signorino Giulio, per carità, non dovete morire! Vergine santa confido in voi!

Anzela s'era fermata a osservare la scena pietosa: il viso stravolto del ferito, la bocca, il giustacuore impregnati di sangue, e la povera governante col volto paonazzo, che ansimava e si sforzava, dopo averlo agguantato sotto le spalle, di trascinarlo al sicuro. Anzela ne provò grande compassione: la dedizione che la donna mostrava per quell'uomo freddo e corrotto rivelava l'affetto disinteressato ch'ella nutriva per lui.
In altra occasione l'avrebbe soccorsa, ma fu più forte il timore che il contadino, che s'era offerto di condurla in salvo, si stancasse d'aspettarla giù alle stalle.
Si trattenne qualche istante ancora a riflettere del luogo in cui si trovava la stanza in cui era stata rinchiusa, dove c'era la borsa, che conteneva le sue povere cose, e, ripercorrendo mentalmente il percorso fatto col principe, si rivolse all'indietro, verso l'uscio che prospettava il corridoio.

-Signorina Anzela!- la voce di Caterina era accorata -Oh signorina, non lasciatemi sola! Pietà di me, per amor di Dio, non lasciatemi sola!

Anzela scosse la testa più volte in senso di diniego e distolse gli occhi per non esser convinta. Caterina insisté:

-Ohi ohi non ce la faccio, signorina, non ce la faccio a portarlo via da sola. È pesante, oh la mia schiena ... vi supplico, aiutatemi, aiutatemi voi.

-No! No!- protestò la giovine con forza -Non me lo chiedete. Non lo farò, non posso.

Quelle parole, quel rifiuto istintivo, ebbero un'eco immediata dentro la sua anima: un confuso senso di colpa per la sua mancanza di pietà, il rimorso di star arrecando a Dio un gran dispiacere, la coscienza d'aver in un baleno cancellato quei buoni sentimenti e atteggiamenti del passato, che pensava d'aver ormai acquisito come bagaglio di virtù poiché l'odio aveva prevalso su tutto e svelava la sua miseria di cuore e di mezzi.

-Mio Dio- pregò in cuor suo -non posso aiutare quest'uomo... non ce la faccio. Tu sai quello che mi ha fatto, non puoi davvero desiderare ch'io rischi la vita per soccorrerlo.

E mentre rifletteva tra sé, meditando queste cose, combattuta sul da farsi, il suo nemico mortale la tolse d'impaccio, perché con le ultime forze, le gridò d'un fiato:

-Baronessa! ...io vi ordino ... io vi ordino di aiutare Caterina!

-Voi mi ordinate!- esclamò Anzela indispettita per il tono arrogante con cui egli l'aveva interpellata -Ditemi, giudice Ravaneda, perché dovrei aiutarvi?

-Sto morendo ... Non avete compassione?- tossì.

-E voi ne avete avuta di me e del barone Sanna?

Il principe affannò, lasciò ricadere la testa sul grembo di Caterina e borbottò qualcosa ch'ella non comprese. Caterina premurosa lo aiutò a sollevarsi seduto, finché egli fu in grado di prender fiato e continuare.

- Avete udito ... che cosa vogliono farmi quegli uomini?- biascicò.

-Sì, signore, ho sentito. Ma non vedo come questo potrebbe riguardarmi. Né riguardare voi giacché tra breve sarete morto.

E detto questo si voltò e varcò la porta. Era tesa come una molla e un gran subbuglio le ribolliva dentro il petto.
Don Giulio s'aggrappò al braccio di Caterina con le dita della mano sinistra e sostenendosi, si sollevò più in alto.

-Anzela!- gridò.

Sorpresa ma quasi costretta dalla voce imperiosa, la giovane ritornò sui suoi passi e si fermò sulla soglia. Il volto del principe, contratto, livido, era una maschera di sangue, il mento, le labbra ne erano interamente coperti; la mano con cui aveva tentato di ripulirsi l'aveva diffuso anche sulle gote e sulla fronte. Un moto di disgusto si disegnò sulla faccia di Anzela.
Lui lo notò e se ne dispiacque, ma insisté con voce più mite:

-Sto morendo baronessa ... come vedete- disse -e voglio ... voglio che il mio corpo sia sepolto intero ... nella tomba di famiglia- fece una breve pausa per riprendere fiato - ... Aiutatemi ed io ... io farò ... in cambio qualcosa per voi.

Anzela sospirò per attardarsi ancora, ma dentro di sé s'era già rassegnata a obbedire: la battaglia terribile che infuriava nel suo spirito s'era conclusa e Dio, come lei aveva sempre saputo, aveva prevalso.

-E cosa potreste fare per me- disse amaramente -che già non abbiate fatto?

-... Venite qui, più vicino ...

Anzela capì che era allo stremo. Si premeva la mano sulla pezza di cotone che Caterina gli aveva infilato sulla ferita per rallentare l'afflusso di sangue ma questa era già zuppa e non tratteneva più nulla.
Ella si avvicinò e s'abbassò presso di lui.

-Vi darò un lasciapassare ...- mormorò l'uomo.

-Un lasciapassare per cosa?

-Un lasciapassare ... che vi consentirà ... ohoh ... vi consentirà di vedere il barone ... don Mighele Sanna.

A quelle parole, al pronunciare di quel nome amato, Anzela s'indignò e un'ondata di collera la travolse.

-Che beffa è mai questa? Che gioco crudele? Forse avete conoscenze in paradiso, signore?- la sua voce risuonò irosa e beffarda -Permettetemi di dubitarne! Presumo che i vostri simili frequentino ben altri luoghi molto più in basso e dove immagino presto vi recherete in visita permanente!

Le parole pungenti della fanciulla non ottennero l'effetto d'offenderlo; egli era ben conscio di dover morire e di non aver alternative, per evitare d'esser mutilato, che convincere la sua interlocutrice ad aiutare Caterina. Tuttavia non riuscì, neppure in punto di morte, a dismettere la sua tracotanza e annuendo alle sue affermazioni, le lanciò uno sguardo sarcastico.

-Avete ragione, baronessa- disse -ohoh ...le mie scelte mi porteranno presto da quel padrone che ho deciso di servire ... Io sono dannato, ahimè... Ma il lasciapassare ... il lasciapassare a cui alludo .... è per questa terra ... Il vostro promesso sposo è ... vivo, ... è ancora vivo.

Quelle parole risuonarono nella mente di Anzela per alcuni secondi prima che essa ne afferrasse appieno il senso e subito dopo si ribellò con violenza:

-Vivo? Vivo? Cosa state dicendo? Non è possibile! Dunque volete ingannarmi ancora? Io l'ho visto salire sul patibolo, ho udito chiamare il suo nome ... e l'ho visto con i miei occhi penzolare col collo stretto da una corda!

-Ohoh ... Voi ... signora ...- biascicò -avete visto ...ciò ... che io ho voluto.

-Spiegatevi- Anzela s'irrigidì indispettita. Non sentiva pietà alcuna per quell'uomo immerso nel suo sangue: era come se una montagna di ghiaccio avesse avvoltolato il suo povero cuore.

-Ho timore di scoprire che siate più miserabile di quanto io abbia già giudicato- aggiunse.

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