Capitolo 10 L'abito nuziale

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Dopo un pranzo silenzioso, in cui il principe evitò di commentare il suo dialogo con la marchesa d'Ancourt e Anzela evitò di chiedergli spiegazioni, la giovane ritornò in camera sua, ansiosa di rifugiarsi in un luogo sicuro dove pregare e meditare sulla propria sorte. Caterina non la trattenne, si limitò ad osservarla andar via e Anzela gliene fu grata perché era emotivamente prostrata e desiderava soltanto sfogarsi con il suo Creatore per trovare conforto e riposo.
Come socchiuse la porta, subito si fermò sulla soglia, conscia che qualcuno, a sua insaputa, si era furtivamente introdotto nella stanza.
Le cortine del baldacchino erano rimboccate con cordicelle vermiglie per lasciare in vista il letto: un abito bianco e soffice come la neve rivestiva il tenero celeste della trapunta.
Ella lo guardò, afflitta e incredula: il bustino di broccato era costruito con candidi e deliziosi ricami, nei cui bordi s'andavano a incastonare piccole e lucenti pietre preziose; le maniche applicate erano corte, della stessa fattura, ampie, atte a coprire le spalle; la gonna comoda, con larghi drappeggi, era dotata d'un lungo strascico che era stato ripiegato in tre parti. Poco discosto dall'abito c'era il velo bianco che digradava da una coroncina d'oro arricchita delle stesse pietre preziose del bustino.

–Provatelo!

La voce del principe, apparso dietro di lei all'improvviso, perentoria e inaspettata, la fece sobbalzare con violenza. Egli l'aveva seguita in silenzio su per le scale fin all'ingresso della stanza.

–Provatelo! – ripeté –Il mio sarto è a vostra disposizione per correggere qualsivoglia difetto vi riscontriate.

Rigida e smarrita, senza osare voltarsi, ella annuì con il capo. Poi, con estrema lentezza, varcò la soglia e si accinse a chiudere la porta, timorosa, esitante, in attesa che l'uomo si allontanasse.

–Cosa vuole ancora da me?– pensò poiché il principe non accennava ad andarsene, come se, insoddisfatto, s'attendesse da lei qualche cosa.

–Lo indosserò, signore– ribadì, nell'incertezza ch'egli non avesse notato il suo precedente tacito assenso. La fronte del principe s'aggrottò e gli occhi si velarono d'amarezza.

–Bene, signora– disse brusco –fate presto– e girate le spalle, se ne andò.

Non ch'egli si fosse scordato dell'indifferenza evidenziata dalla fanciulla per il vestito nuziale, ma la sua gran presunzione l'aveva persuaso ch'ella, nel contemplare la sontuosità e straordinaria magnificenza dell'abito che egli aveva procurato per lei, avrebbe modificato il suo giudizio, si sarebbe commossa per la generosità del suo pretendente e avrebbe mostrato esultanza e gratitudine nei suoi confronti. Egli ragionava inoltre che la giovinetta avrebbe notato che si trattava d'un capo di gran pregio, degno d'una dama di rango, e da ciò avrebbe compreso quanto egli la tenesse in considerazione. La somma spesa valeva la pena, egli voleva qualcosa che fosse degno della sua bellezza. Quale sposa non sarebbe stata entusiasta d'indossare un simile capolavoro? La scelta del colore bianco non era stata casuale: egli desiderava per la sua sposa qualcosa che non fosse consueto. Notte e giorno il sarto con i suoi collaboratori aveva tagliato, imbastito e cucito pur di finire in tempo il lavoro richiesto e si era fatto ben pagare! Ma ne valeva la pena: egli era certo che la fanciulla sarebbe rimasta conquistata dalla delicata novità di quel vestito.
La freddezza di Anzela l'esasperò oltre misura e annebbiò le sue speranze.

***

La porta chiusa l'insinuò nella solitudine della camera che le donò un senso immediato di sollievo. Dolce rifugio, dopo tanta angoscia, dolce e breve rifugio! Ecco, era sola, lontano da lui.
Con un sospiro s'accostò al letto e rimase lì, in piedi, a contemplare quell'abito, senza decidersi a toccarlo, né ad indossarlo. Ragionò di non aver mai visto un vestito così bello, né d'aver mai immaginato esistesse. Era l'abito nuziale d'una principessa o d'una regina. La tristezza soffocò il suo povero cuore e affogò gli occhi di lacrime.

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