Capitolo 3 Un contadino disperato

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Appena il barone Carillo cominciò a parlare, la sua voce tradì una forte ansietà.

–Vostra eccellenza!– esclamò balzando in piedi –Voi conoscete bene Auro Ferrando?

Don Giulio si lisciò lentamente il mento con le dita, contemplando con aria divertita il suo dipendente che, dall'alto della sua mediocre statura, troneggiava su di lui. Si dispose a rispondere con molta serenità volendo pietosamente attenuare la forte tensione che il suo interlocutore evidenziava.

–Mio caro barone– disse –Che cosa intendete dire? Conosco il Ferrando, lo sapete. M'importuna spesso per presentare le lagnanze dei contadini contro di voi– ridacchiò –E sapete quanto valore ho sempre dato a queste lamentele.

–Vi sono grato, eccellenza, ... della fiducia.

–Vi ho favorito, in ogni modo, caro don Alfonso, perché non ignoro che per tenere a bada quella masnada di bifolchi occorre il pugno di ferro e non si può contare sulla popolarità.

–È così, è così.

Il barone si riaccomodò sulla punta della poltrona, chino in avanti, proteso col corpo verso il giudice. Dopo un rumoroso sospiro, annunciò:

–Eccellenza, ad Auro Ferrando è capitata una disgrazia.

Il principe lo osservò senza proferire parola in attesa che continuasse.

–Eccellenza, conoscete la sua famiglia? La famiglia di Auro, intendo.

Don Giulio scosse appena la testa.

–Ebbene, sappiate ... – proseguì Carillo –sappiate che la figlia minore di questo contadino ha subito abuso da parte di un uomo.

Fece una breve pausa, constatò che il principe non pareva particolarmente scosso, si schiarì la voce fattasi roca e proseguì:

–Fatto increscioso e da condannare, certo ... –alzò gli occhi inquieti verso quelli attenti del suo interlocutore e aggiunse in tono sommesso –Egli afferma che son io l'autore di questa infamia.

–Voi?– replicò il principe sorpreso.

–Sì, eccellenza, a causa di qualche battuta, che feci alla ragazza tempo fa ... una battuta scherzosa, senza alcuna malizia vi giuro ... una battuta sulla sua avvenenza. Conoscete la mia debolezza, le donne mi piacciono, come negarlo? E la ragazzina è graziosa. Ma tutto lì, una battuta e basta. Non posso capire ... accusarmi così ... solo per quelle parole gettate per scherzo, eccellenza, per scherzo vi ripeto.

Don Giulio Ravaneda si raddrizzò sulla poltrona e corrugò la fronte, lo sguardo s'incupì mentre fissava perplesso il barone. Non parlò, aspettò, senza cessare di puntargli gli occhi addosso, per indagare l'espressione del volto e cercarvi sopra la veridicità di quelle parole, e ancor di più presentire quale disegno lo guidasse. Quegli intuì il sospetto che passava nella mente del suo illustre padrone e s'agitò oltre misura. La sua reputazione non era sconosciuta a nessuno, era stato accusato spesso di molestare le mogli dei contadini quando vi si recava per riscuotere le tasse (in realtà ci faceva sopra una piccola cresta per recuperare qualche spesuccia necessaria al suo status di benestante) e Auro aveva riferito queste lagnanze. Capì che doveva scagionarsi in fretta e con prove inoppugnabili per non rischiare il posto di lavoro e una condanna pesante. D'altronde anche il principe amava le belle donne e su questo voleva far leva per attirarne la compassione.

–Sono innocente!– ribadì.

Don Giulio Ravaneda lo interrogò:

–La ragazzina vi accusa?

–No, no, appunto– rispose concitato –è suo padre che m'accusa. La piccola è così sconvolta che da allora non proferisce sillaba.

–Ditemi ... Ferrando può contare su dei testimoni che vi hanno visto commettere il fatto?

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