Capitolo 24 La trappola

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Due giorni dopo Luc Renard ritornò con cattive notizie: Veronique alias Marisa Meloni rifiutava di testimoniare contro l’amante e smentiva le parole della padrona del locale negando d’averle mai riferito qualcosa. La situazione si fece confusa: chi tra le due donne aveva mentito? Rose Dubois che aveva motivi di rancore nei confronti del Marino o Veronique che voleva proteggere il suo amante e benefattore?
Anzela ripiombò nella disperazione. Sei giorni! Erano rimasti sei giorni prima che la condanna a morte venisse eseguita. Dopo le speranze sorte dal colloquio del principe con la Dubois, questo nuovo impedimento pareva riportare la situazione alla gravità iniziale.
Don Giulio profittò delle difficoltà per crescere nella considerazione della fanciulla: si prodigò nel rassicurarla, mostrò per la sua angoscia un interessamento smisurato e giurò e spergiurò che la sorte del barone Sanna gli stava a cuore poiché, avendo contribuito alla decisione di condannarlo a morte, ora sentiva urgente la responsabilità di salvargli la vita ad ogni costo.
I sentimenti di Anzela verso il principe erano dolorosi e contrastanti: da un lato, apprezzava che lui, pur ancora sofferente, avesse tempestivamente avviato delle indagini sul delitto, interpellando un investigatore privato e mettendo a disposizione ingenti somme di denaro a questo scopo; dall’altro c’era lo stupro subito che aveva generato dentro di lei una ferita insanabile e un’istintiva ripulsa e diffidenza per quell’uomo; ella ne temeva la vicinanza e tremava all’idea che la sfiorasse; inoltre, il ricordo di come egli avesse architettato la finta esecuzione del fratello per ferirla e vendicarsi di lei, le palesava l’animo di un essere malvagio e insensibile.
Chi era realmente il principe Ravaneda? Il suo agire era motivato dalla gratitudine, poiché ella lo accudiva con riguardo? Egli era per davvero impaziente di salvare Mighele, come affermava, oppure, per un forte senso dell’onore, teneva al rispetto della parola data?
Quell’uomo era la sua unica speranza. Se avesse avuto un’alternativa, una possibilità qualsiasi d’un’altra via d’uscita per il suo adorato fratello, sarebbe scappata da quella casa in un baleno. Ma non c’era nessun altro, nessuno cui rivolgersi tranne lui.

***

–Vi vedo pensierosa baronessa.
Anzela trasalì al suono della sua voce e arrossì violentemente. Sentì come se l’avesse colta in flagrante, mentre ragionava su di lui, e temendo che il suo viso riflettesse, come un vetro limpido, la verità dei suoi pensieri, rilassò di colpo l’espressione sdegnata.

–Sono molto preoccupata– balbettò cercando di ricomporsi.

–Non dovete. Abbiate fiducia in me: riuscirò ad accertare la verità.

–Come? Come farete?– gridò –Quella donna nega tutto, a detta del vostro investigatore. Come potrete costringerla a denunciare l’uomo che ama? No! Non m’ingannate, ve ne supplico. Mighele non ha scampo!

–Fidatevi di me– disse lui dolcemente –Ho un piano.

–Ma il tempo è quasi scaduto. Potete ancora rimandare la sentenza?

–No, il viceré non lo consentirebbe.

Anzela si coprì il volto con le mani. Gridò, supplicò che non l’abbandonasse, che impedisse l’esecuzione di Mighele, poiché adesso sì, adesso anche il giudice sapeva che il suo promesso sposo non era colpevole.

–Forse …– replicò don Giulio –ma la sua innocenza ancora non è certa.

–Forse?– gridò la fanciulla –Che dite! Non avete ascoltato quella donna? Non le credete?

Don Giulio ridacchiò.

–Sì, baronessa, le credo. Ma siete così seria e spaventata che mi portate a stuzzicarvi, per farvi reagire.

–Oh! Voi scherzate!– esclamò lei con voce adirata –come potete pensare che io abbia voglia di scherzare!

–Suvvia, signorina, vi domando perdono. M’accorgo che non era il modo adatto, perciò scusatemi e abbiate pazienza. Tra poco vedremo se il piano che ho ideato funzionerà. Avremo nuovi ospiti a breve e vi chiederò ancora di ascoltare dalla stanza accanto al salone, solo che questa volta ci sarò anch’io con voi ad ascoltare e aspettare.

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