Capitolo 15 Maria

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Dopo due giorni Caterina e Martina predisposero i bagagli e i coniugi Ravaneda si trasferirono nella residenza cittadina del giudice. Il viaggio fu piacevole come la giornata, il principe pareva aver ritrovato il buonumore e conversava allegramente con la giovane sposa prospettandole il soggiorno a Cagliari come l'opportunità di godere d'una maggiore libertà di spostamenti nonché d'inserirsi nell'alta società cagliaritana.
Appena la carrozza varcò il cancello della recinzione che circondava la villa due uomini vennero loro incontro: il barone Carillo e il barone Portas. Il primo non le piacque, le parve subdolo e ipocrita, ma lo salutò cordialmente poiché era abituata a non lasciarsi condizionare dalla prima impressione o dai pregiudizi. Al contrario il barone Portas attirò la sua immediata simpatia, lo trovò gioviale e gentile e accettò di buon grado la sua offerta di guidarla all'interno della nuova abitazione. Con la sua allegria egli riuscì a strapparle qualche risata.
Chi le destò un'immediata inquietudine fu il servitore di Carillo, che udì chiamare col nome di Jorzi, poiché quel viso sfigurato aveva un non so che di feroce e animalesco, e in più si aggiungeva quella sensazione ... la spiacevole sensazione d'averlo già incontrato in passato.
Anzela trovò la casa bellissima: era molto spaziosa, arredata in modo principesco e luminosa.
Il castello non le piaceva, forse per la memoria della stanza prigione dove era stata violata e rinchiusa, forse per gli eventi drammatici che avevano cambiato la sua vita: l'assalto notturno, il ferimento del giudice ... quanti amari ricordi le suscitava quel luogo!
La stanza del principe era simile a quella del castello, c'era un letto enorme a baldacchino, un armadio che occupava una parete intera, e toccava il soffitto, pareti tappezzate di quadri, arazzi e una specchiera a muro. Uno scrittoio con ribaltina, un tavolo e alcune poltrone con gambe ricurve rivestite in velluto verde completavano l'arredo insieme ad un paravento in legno e un catino sorretto da un treppiede in ferro nero. Caterina si premurò di sistemare la biancheria dei padroni nel guardaroba; inoltre s'occupò di procacciare da un'altra stanza un bel comò sormontato dalla cornice d'un'ampia specchiera che giudicò sarebbe stato gradito alla sposa.
C'era una nuova speranza nel cuore di Anzela: che il soggiorno a Cagliari, obbligato dall'impiego del marito, portasse ad affrettare la scarcerazione di Mighele, anzi che fosse quasi immediata; la sua delusione fu grande quando il principe si lamentò dei tempi lunghi della burocrazia, le spiegò che c'erano delle procedure da rispettare e la invitò alla pazienza. Per la giovane donna il ritardo era inspiegabile e sospetto. Se il debito era stato saldato, perché la denuncia non era stata ancora ritirata dal Baghino?
Carillo rimase con loro altri due giorni poi il padrone lo rispedì nel suo feudo, con l'ordine di riavviare il lavoro con i contadini; il barone obbedì ma di malavoglia e partì conducendo con sé il devoto scagnozzo. Anzela ne fu sollevata poiché la presenza di quei due uomini in giro per la casa le causava un intenso quanto per lei incomprensibile disagio.
Il quinto giorno di permanenza nella capitale, il giudice Ravaneda le annunciò che l'indomani avrebbe presieduto il processo contro Auro Ferrando e, adducendo il motivo d'aver da consultare degli incartamenti in tribunale, la lasciò. Anzela non si dispiacque di restare sola, era molto adirata con il marito: aveva richiesto un nuovo lasciapassare per incontrare il fratello in prigione ma egli glielo aveva negato sostenendo che il carcere fosse un luogo non adatto alla moglie di un giudice e che non c'era bisogno di ulteriori incontri perché presto l'avrebbe rivisto di persona. Quel rifiuto aggiunse credito ai timori ch'ella già nutriva sul conto del principe. Si rifugiò nella preghiera, pregò d'aver la forza d'affrontare il marito per sollecitare l'adempimento del patto. Gliene venne una grande consolazione e, comprendendo che le scendeva dalla bontà del suo Creatore, lo ringraziò con gratitudine affidandogli tutte le difficoltà e sofferenze che sopportava.
Aveva appena concluso di segnarsi con la croce quando Caterina si presentò sulla soglia e l'avvisò che una donna all'ingresso chiedeva di lei.

-Una donna ... chi può essere? Sei certa che abbia chiesto proprio di me, Caterina?

-Ha chiesto della baronessa Esgrecho, afferma di conoscervi, signora.

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