Capitolo 12 Ho ucciso

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Auro era disceso fino all'uscita secondaria e, dopo aver accertato che non vi fosse nessuno in giro, si era precipitato verso le stalle. Pensava di portar via due cavalli, uno per sé e uno per la baronessa; li avrebbe presi in prestito per la fuga e poi abbandonati, confidando che i due animali addomesticati rintracciassero da soli la strada di casa. Scelse uno stallone bayo e una cavalla bianca ma sellò solo la cavalla, poi li condusse entrambi fuori della stalla.

-Buono, buono bello- mormorò carezzando con calma il collo dello stallone che teneva stretto per il morso. Il cavallo scalpitava e cercava di impennarsi -Buono! Non mi conosci ... hai ragione ... ma non ti farò nulla, devi solo portarmi via da qui.

Il tempo passava. Auro teneva d'occhio l'ingresso di servizio, in apprensione, perché non desiderava esser scorto dai compagni; non si fidava più da quando Caredda aveva accettato nel gruppo gente poco raccomandabile, sfaticati e delinquenti che non erano in cerca di giustizia, ma d'arricchirsi saccheggiando e uccidendo. Il cuore gli batteva con violenza e la mente richiamava solo l'immagine del principe Ravaneda che crollava in ginocchio davanti a lui colpito a morte.
I pensieri erano foschi e angosciosi: aveva ucciso un uomo! Sì, ma era un uomo malvagio e corrotto! Giustificava il suo gesto ricordando Nina, la sua tragica fine e si caricava di rabbia ripensando a Carillo che era riuscito a mettersi in salvo. Non doveva farla franca, l'avrebbe scovato e ucciso. Sì, l'avrebbe ucciso. Poi affiorava l'immagine della moglie Maria, che lo rimbrottava, che parlava di Dio e di giustizia divina, e allora la coscienza si snebbiava e s'affacciava il rimorso, ma era doloroso e terribile da affrontare ed egli lo cacciava e copriva con l'immagine straziante della figlia e così mascherava il suo peccato.
Mentre aspettava che la ragazza lo raggiungesse, chiedendosi come mai ci mettesse tanto, scorse il nugolo di cavalieri che si avvicinava al castello; erano uomini ben armati e numerosi, ne contò un centinaio circa, e insieme a loro individuò il maggiordomo del principe in groppa ad un cavallo nero.
Soldati!
Il principe aveva inviato Jacopo a cercare soccorso... quindi era stato preavvisato dell'attacco da qualcuno. Chi poteva averlo fatto? Carillo! Era stato sicuramente Carillo!
Capì d'esser in grave pericolo. Non c'era modo di aspettare ancora la baronessa, né il tempo di informare gli altri contadini prima che i dragoni lo vedessero: con un agile balzo inforcò lo stallone e lo spronò verso gli alberi nell'intento di nascondersi all'interno del boschetto che circondava il castello.

-Ehi tu! ... Ehi tu! Dico a te! Fermati!- due soldati a cavallo avanzavano al trotto a pochi metri da lui: due avanguardie mandate in ricognizione.

-Fermati o sparo!- il soldato puntò il fucile verso di lui e prese la mira.
Spaventato, conscio che se catturato l'aspettava la forca, Auro si piegò sul collo dell'animale e lo incitò con foga percuotendogli i fianchi con i talloni.

-Vai, vai, corri!- gridò.

Uno sparò echeggiò nell'aria.

-Corri! Corri!- strillò Auro mentre lo stallone, rapido come una freccia, si insinuava al galoppo in mezzo agli alberi.
I due soldati senza indugio si lanciarono all'inseguimento del fuggiasco, entrambi tentarono di colpirlo, esplodendo altri due colpi di carabina contro di lui, ma lo mancarono.
Il contadino era molto abile nel guidare il cavallo all'interno del bosco e ciò lo favorì rispetto ai due militari che si trovarono al contrario impacciati e furono costretti a moderare l'andatura; la sua conoscenza del territorio gli permise di scegliere i percorsi più agevoli e opportuni e di distanziare gli inseguitori.
Cavalcò senza fermarsi fino a raggiungere il suo podere.
Maria era sulla porta di casa come se l'attendesse da tempo, poggiata faticosamente con la schiena sullo stipite, con la mano posata sul ventre gravido e il viso provato e crucciato.
Non gli venne incontro, ma attese che lui smontasse da cavallo e la raggiungesse.

-Che cosa è successo?- disse -Che cosa hai fatto?

Prima che l'uomo potesse rispondere, sull'uscio apparve Lena. Auro notò che la donna era ansiosa di parlargli, gli occhi neri lampeggiavano e il viso magro pareva più affilato e pallido a causa dell'abito nero che portava addosso come una divisa ormai consueta. Uno stuolo di corvi si sollevò in volo dal tetto e sfrecciò sopra di loro. Superstizioso l'uomo lo interpretò come un segno di malaugurio.

-Hai vendicato tua figlia?- disse Lena con voce imperiosa -e mio figlio?

Auro annuì.

-Cosa hai fatto?- gridò Maria con voce angosciata.

-Ho ucciso il principe Ravaneda!- esclamò l'uomo.

-Ah! ... Ben fatto!- gridò Lena -Giustizia! Giustizia è fatta! Ah figlio! figlio mio, sei vendicato! Il tuo assassino è all'inferno!- e come una pazza si mise a saltare e danzare agitando i pugni nell'aria come se dovesse colpire qualcuno.

-Hai ucciso un uomo!- esclamò Maria -Dio ci punirà! Nessuno ha diritto a farsi giustizia da sé! E adesso che accadrà? Sarai impiccato! E io? E i tuoi figli? E questo bambino che porto in grembo? Come farò da sola? Perché ... perché l'hai fatto?

Auro tentò di abbracciarla ma ella lo scansò con decisione allontanandosi di alcuni passi.

-Che farai adesso?- disse senza guardarlo.

-Devo nascondermi, mi stanno cercando. Cercherò un posto sicuro e poi vi manderò a prendere.

-Con quali soldi? Non abbiamo nulla! Come vivremo senza questa terra? C'è il raccolto da fare, ci sono i prodotti da vendere ... chi lo farà? Chi mi aiuterà quando nascerà tuo figlio? E Nina? Chi potrà assisterla nelle condizioni in cui è? Perché ... - gridò -perché mi hai fatto questo?

Auro l'afferrò per il braccio ma essa si svincolò.

-Devi avere fiducia in me- disse -c'è qualcosa che devo finire ... Carillo è ancora libero.

-Che vuoi fare? Vuoi uccidere anche lui?

-E tu? E tu cosa vuoi? Non vuoi che paghi ciò che ha fatto a nostra figlia?

Maria lo guardò fieramente.

-Sì- disse -ma voglio che sia arrestato e impiccato dai gendarmi.

-Hai visto come funziona la loro giustizia!

-Ma nessuno, nessuno può sfuggire alla giustizia di Dio!
Auro scosse la testa.

-Devo andare adesso.

-E io?- domandò Maria afferrandolo a sua volta per il braccio -Cosa farò io da sola?

-Ci sarà Lena ad aiutarti finché non torno.

-Lena?- gridò Maria e si girò a guardare la donna nera che continuava a muoversi davanti alla casa in una strana macabra danza, nella quale ella saltava e s'accovacciava, saltava e agitava il braccio con il pugno chiuso che sferzava il cielo.

- Lena?- ripeté Maria -Non vedi come sta Lena? Devo badare anche a lei.

-Tornerò presto!- promise l'uomo che si sentiva a disagio. Ma non modificò la sua decisione.

-Se resto qui sarò arrestato- proseguì -vuoi che mi prendano e m'impicchino? No! Non prima di aver ucciso Carillo!

Maria lo fissò amareggiata e non disse nulla. Si volse e s'avviò verso la porta a capo chino, il braccio attorno al ventre.

-Tornerò!- ripeté Auro e salì sullo stallone.

-Maria!- gridò.

La donna entrò in casa. Lena si fermò e ritornando improvvisamente lucida, avanzò fin sotto di lui e gli disse:

-Vai, uccidi Carillo. A tua moglie penserò io.

-Maria!- ripeté Auro accorato.

Quando s'accorse che ella non usciva più e non gli rispondeva, si rassegnò e con una smorfia di dolore picchiò il palmo della mano sulla natica del cavallo e lo spronò.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora