Capitolo 3 Chiarimenti

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L’incontro con il capitano di vascello Elias Muroni aveva gettato Anzela nello sconforto: la paura che i sospetti dell’ufficiale di marina fossero veritieri e che il marito fosse il responsabile del fallimento del padre nonché della morte di molti innocenti che lavoravano per lui sulle navi, le creava un’angoscia nell’animo simile al terrore. Aveva sposato un uomo spregevole? Oppure si trattava d’un equivoco?
Più pensava alla figura maligna di Jorzi Marras, più le veniva difficile assolvere il giudice Ravaneda. Marras lavorava per Carillo e Carillo lavorava per lui. Come poteva essere ignaro delle colpe di quel suo subalterno?
Jorzi era un pirata!
Caterina rimase in silenzio per un po’, rispettando il cupo rimuginare della baronessa, poi s’impose, ritenendo, per quello che aveva udito anch’essa, di dover intervenire a difesa del padrone.

–Signora– mormorò decisa –non date retta a tutte queste chiacchiere. Don Giulio è un uomo onesto e corretto: ah! Non credo a nessuna delle accuse rivoltegli! E voi dovreste fare altrettanto, come sua moglie.

Anzela avrebbe tanto desiderato prestar fede a queste parole; ma come spiegare tante coincidenze e sospetti? Perciò, determinata, rispose:

–Cara Caterina, non c’è modo di conoscere la verità se non parlare con mio marito, al più presto.

–Oh certo! Come preferite voi, signora. Sì, è la miglior soluzione. Sono certa che il giudice confuterà tutti i vostri dubbi.

Il viaggio di ritorno parve lungo più dell’andata e, giunta in vista della cancellata d’accesso alla casa, Anzela individuò una carrozza che alla prima occhiata riconobbe per quella della marchesa d’Ancourt.

–Lei è qui?– pensò –È venuta per il principe?

Appena la carrozza passò accanto al tiro a due della rivale, ella scorse il volto di Ariane dal finestrino e ne incrociò lo sguardo pensieroso, si stupì del cenno della mano che l’invitava a fermarsi. Jacopo bloccò la vettura prima di varcare il cancello d’ingresso e la fanciulla, come discese, si trovò di fronte la bella marchesa, dall’aspetto fresco come una rosa nonostante il caldo torrido della giornata.

–Baronessa Esgrecho– ella disse con voce cordiale –Ho bisogno di conferire con voi.

–Qui?

–Sì, è necessario. Il principe Ravaneda non deve sapere che sono venuta. Devo parlare con voi con urgenza.

Anzela annuì perplessa. Ordinò a Caterina e Jacopo di rientrare alla villa senza di lei, con la promessa che a breve li avrebbe raggiunti a piedi e il cocchiere obbedì spronando i cavalli.
Rimasta sola, la fanciulla affrontò con coraggio l’indesiderata visitatrice.

–Voi conoscete le circostanze per cui io sono la moglie del principe– si difese temendo un assalto furioso –Non saprei cos’altro dirvi.

–Non son qui per me ma per voi– Ariane allungò la mano guantata e le porse un plico che recava un sigillo scarlatto.

–Che cos’è?

–Una lettera … del capitano Cerrati.

–Una lettera di Alfio?– Anzela trasecolò, prese la busta, la rigirò tra le dita e lesse le poche righe all’esterno: “Anzela”; la guardò ancora e poi la portò sul cuore e con insistenza la tenne dolcemente poggiata lì, poi riportò gli smeraldi sulle iridi di cobalto.

–Come conoscete il capitano?– domandò.

–Non c’è tempo di spiegarvi, ma petite. Ho svolto la mia missione e ora vi lascio.

–Tutto qui? Per questo siete venuta?

–Sì.

–Perché Alfio avrebbe dato questa lettera a voi? È davvero sua? Non conosco la sua calligrafia.

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