Capitolo 6 L'assalto al castello

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Anzela si destò all'improvviso con la strana sensazione che nella stanza vi fosse qualcuno.
Il cuore prese a batterle con violenza, aprì gli occhi lentamente e tese le orecchie nello sforzo di ascoltare eventuali fruscii intorno a sé.
La lampada si era spenta e l'ambiente era immerso nel buio; probabilmente, ella pensò, l'olio era finito. Il silenzio che la circondava in parte la rassicurò, ma non fu sufficiente a scacciare il timore della misteriosa presenza nella stanza.

-Coraggio, coraggio!- ripeté nella mente, stringendo i pugni per sentirsi più forte sforzandosi di scacciare la paura dal cuore.
Con uno scatto si drizzò seduta sul letto.
Con gli occhi sgranati esplorò ansiosa tutti gli angoli della camera, sforzandosi di individuare nell'oscurità, le sagome ormai familiari degli arredi, ma timorosa di trovarsi dinnanzi, tutt'a un tratto, la figura imponente e fosca del giudice Ravaneda.
Appena accertò d'esser sola, iniziò a rasserenarsi; il respiro si fece più quieto e si concesse di rilassare la schiena sul cuscino che aveva addossato alla spalliera del letto.
Sentì necessità di orinare. Ricordò la sofferenza provata l'ultima volta che l'aveva fatto, dopo la violenza subita e riaffiorò la paura di dover ancora soffrire in quel modo. Rammentò la brutalità con cui egli l'aveva posseduta e una rabbia impotente le sollevò le lacrime agli occhi.

-Perché?- pensò - Perché tutto questo?- si alzò e a tentoni rintracciò la porta del bagno. La stanza era gelida e un brivido le salì lungo la schiena mentre s'appoggiava con le cosce nude sulla tazza, dopo aver sollevato con fatica le sottane. Lentamente provò a urinare, timorosa dell'accendersi della solita fitta bruciante, ma con sollievo constatò che il dolore s'era molto attenuato.
Ritornò con maggior sicurezza nella camera poiché gli occhi s'erano adattati al buio e s'inginocchiò ai piedi del letto; congiungendo le palme delle mani, alzò lo sguardo verso il cielo e pregò. Implorò Dio di salvarla da quell'uomo malvagio ed aiutarla a far ritorno dalla zia, l'unica tra i parenti che provasse un po' d'affetto per lei. Il dolore per la morte del fratello riaffiorò nel cuore e l'ineluttabilità della sua scomparsa divenne una ferita, fresca e sanguinante. Poi il pensiero si rivolse ad Alfio, lo ricordò nel momento in cui le dichiarava il suo amore struggente e parve allora che la pena del cuore s'attenuasse, ma fu un istante: ella ragionò che al suo ritorno in Sardegna egli avrebbe scoperto il patto diabolico con il principe e la sua perduta verginità: allora l'avrebbe respinta come un essere ripugnante e indegno.
E se avesse taciuto? Chi avrebbe potuto scoprire ciò che era accaduto e rivelare il suo segreto al giovane capitano? Non il principe, certo, lui non avrebbe parlato. Dunque tacere! Poteva farlo? No! La sua coscienza non l'avrebbe permesso! Ah no, no, non poteva ingannarlo!

-Come ho potuto fidarmi di quell'uomo? E come ha potuto ingannarmi in questo modo? Com'è possibile che esistano persone così crudelmente miserabili?

La poveretta non vedeva alcuna via d'uscita alla sua tremenda situazione. Doveva scappare, scappare via da quel castello maledetto e rintracciare Jaime perché l'aiutasse a raggiungere la zia. Ma dov'era finito Jaime? Cosa gli era stato riferito di lei? Era sola, sola, disperatamente sola!
Perché quell'uomo la teneva prigioniera? Aveva paura che lei lo denunciasse? Forse ... forse per questo la teneva rinchiusa.
Ebbene sì, l'avrebbe denunciato! Doveva pagare tutto il male che le aveva fatto ... ma poi ragionò: chi le avrebbe creduto? Il principe era un uomo rispettato e temuto, e lei una sconosciuta in quei luoghi. Inoltre, c'era il rischio che lui scoprisse la sua vera identità, e, in quel caso, come salvarsi? L'avrebbe spedita in galera senza batter ciglio per il mancato pagamento del debito e poi, una volta entrata in carcere, chi l'avrebbe cercata? Ella intravedeva davanti a sé un futuro di stenti e solitudine che la terrorizzava; come sostenersi da sola, priva di mezzi com'era? Tornare dalla zia! Ma come spiegare la sua perduta virtù? Le avrebbe creduto? No di certo! La conosceva bene: il suo pensiero fisso era procurarle un marito ... ma chi l'avrebbe sposata in quelle condizioni? Povera, senza dote e priva della verginità?
Il suo spirito affogava in un tale stato di oppressione da non scorgere alcuna luce; in quella notte dell'anima, il pensiero della morte si affacciava spesso nella sua mente come una soluzione, prima temuta, ma poi quasi agognata, finché divenne l'unico pensiero ad arrecarle sollievo; tuttavia, esso si scontrava con altri sentimenti più forti e nobili: una profonda vergogna per la sua vigliaccheria e il dispiacere nel constatare la sua poca fede, che generava nei confronti del suo Creatore un acuto senso di colpa.
Allora si scuoteva e riprendeva a pregare perché Dio l'aiutasse a non dubitare della sua provvidenza, ma invano: il ricordo degli ultimi eventi, riaffiorava implacabile e soffocava ogni altra santa considerazione: il ritrovamento di Mighele, la morte di suo padre, l'arresto e la condanna a morte del fratello, il processo e l'impiccagione; e poi Alfio, le dolci sensazioni tra le sue braccia, la paura di confessargli di non esser più degna di sposarlo, la paura che egli non tornasse più in Sardegna...

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