Capitolo 10 Nella casa di Tore

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La partenza di Mighele fu organizzata per le dieci del mattino del giorno dopo e don Giulio, immaginando che la moglie avrebbe desiderato ardentemente accompagnare il fratello, aveva avvisato Jacopo d’organizzare per il viaggio. La sua idea era di percorrere la strada in carrozza e poi rientrare prima del pranzo al castello con Anzela. Ma ella aveva in mente un altro programma.  Dopo aver indossato, dal ricchissimo corredo regalatole dal principe, uno splendido vestito da cavallerizza, la fanciulla si presentò davanti al marito e lo supplicò che le permettesse d’accompagnare Mighele da sola, a cavallo. Egli rimase abbagliato dalla sua dolce bellezza, e ciò gli impedì per qualche secondo di percepire ciò che ella chiedeva. Appena la proposta affiorò alla sua coscienza si alterò:

–Signora, poiché non ritengo che siate fuori di senno, devo pensare si tratti d’ingenuità. Affrontereste la strada del ritorno da sola? È fuori discussione. Voi non conoscete i rischi d’un viaggio senza scorta. Vi prego di credermi: non posso rischiare la vostra vita per un capriccio; farete il viaggio con vostro fratello e con me, in carrozza.

Anzela sentì d’insistere, poiché egli, che mostrava rigidezza nelle parole, nel tono di voce rivelava un’insolita dolcezza, e le appariva desideroso di compiacerla, ma impossibilitato per ciò che lei ritenne un eccesso di prudenza.
Per persuaderlo, volle metterlo a parte di alcuni suoi intimi ricordi, poiché pensò ch’egli potesse apprezzare il suo sforzo di migliorare il loro rapporto. Raccontò che spesso, negli ultimi anni di vita della madre, lei e Mighele cavalcavano insieme per lunghi percorsi, smaniosi d’avventure e di sogni. Parlò del desiderio di rivivere quei dolci momenti del passato per far memoria dei giorni felici trascorsi con la madre.

Il principe si mostrò partecipe, dichiarò di comprendere il suo desiderio ma di non poterlo soddisfare, per la sua sicurezza; tuttavia accettò anche se a malincuore che si recasse sola con Mighele alla casa del padre e le concesse di trattenersi ivi per due giorni; Jacopo li avrebbe seguiti con la carrozza e i bagagli e il terzo giorno sarebbe ritornato per ricondurla di nuovo al castello. Anzela era esultante, non poté trattenersi dall’abbracciare il marito e ringraziarlo per la sua generosa concessione; lo rassicurò che sarebbe tornata nei tempi stabiliti poiché non aveva nessuna intenzione d’evitare la consumazione delle nozze, alla quale mancavano ancora quattro giorni.

Don Giulio scelse per lei un morello arabo giovane ma dal buon carattere e al barone regalò il bayo con cui era giunto al castello.

–Sembra ch’io debba ancora esservi grato– dichiarò Mighele con gravità –purtroppo non ci riesco.

Anzela s’accorse che il principe s’era irrigidito per la risposta, tuttavia non replicò alla scortesia.

–Ohoh!– gridò Mighele spronando il cavallo. Dopo un breve istante, in cui la fanciulla trovò spontaneo cercare gli occhi del marito per un veloce saluto (nel quale era contenuto il rinnovo della promessa di rientrare all’ora concordata), Anzela imitò il fratello e, con un rapido colpo di tacco, lanciò il morello al galoppo.

***

La carrozza seguiva il sentiero a poche centinaia di metri da loro, ma doveva averli avvistati poiché d’improvviso lasciò il viottolo e si diresse con risolutezza nella loro direzione.

–Chi sarà?– domandò Mighele perplesso –Certo è che viene verso di noi.

–È la carrozza della marchesa d’Ancourt– rivelò Anzela.

–La marchesa d’Ancourt? … L’amante del giudice Ravaneda? Guarda! Non v’è dubbio che venga verso di noi. Di certo è te ch’ella desidera incontrare.

Il primo pensiero che balenò in testa ad Anzela fu che la rivale recasse notizie di Alfio. Forse un’altra lettera? Forse egli aveva trovato le prove che cercava? Le venne il forte desiderio di conoscere il motivo per cui Ariane d’Ancourt la cercasse e per ridurre il tempo che mancava all’incontro, rilasciò le briglie e spronò il cavallo verso la carrozza. Mighele senza esitazione la seguì.
Soffiava una brezza leggera ma fresca, di maestrale, che alleviava l’intenso calore estivo.
I due giovani bloccarono i focosi animali a una decina di metri dal tiro a quattro che aveva rallentato la corsa.
Il cocchiere accennò un saluto, poi scese a terra e aiutò la bella padrona a discendere al suolo.

Il Patto DiabolicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora