Capitolo 7

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Non so quante volte abbia aperto gli occhi solo per richiuderli subito dopo. Ogni volta, le immagini sfocate dei muri in pietra e della luce del giorno si confondevano con letti vuoti, per poi dissolversi nel buio che tornava a inghiottirmi. Mi sembra impossibile tenere le palpebre aperte per più di qualche secondo: piccoli puntini neri ballano davanti ai miei occhi, offuscando la vista. Il dolore alla testa pulsa incessante, irradia dalla nuca fino a invadere ogni fibra del mio corpo, tanto da farmi arricciare il naso. Il ronzio acuto nelle orecchie è insopportabile, come un tormento continuo che mi spinge a desiderare di non sentire più pur di trovare un attimo di pace.

Raccolgo tutta la mia forza di volontà e lentamente, con un respiro profondo, mi costringo ad affrontare nuovamente la luce. Ho bisogno di capire cosa sia successo e perché mi ritrovo in infermeria... ancora. Hazel sperava di non vedermi tanto presto, eppure eccomi qui, solo un giorno dopo.

Giro leggermente la testa, con il fastidio che mi fa stringere i denti. Gli altri letti sono vuoti, tranne uno accanto al mio. Sforzo la vista, socchiudendo gli occhi, per cercare di capire chi ci sia sdraiato lì. Mi muovo lentamente, cercando una posizione in cui il dolore alla testa sia meno opprimente, mentre la luce che filtra dalla finestra si fa più tollerabile.

Mi siedo, scostando le lenzuola candide che coprono il mio corpo stanco. Mentre mi abituo alla luce, noto che qualcuno mi sta già guardando. Le sue iridi diverse, una più scura e una più chiara, mi fissano con insistenza. Mi mordo il labbro, e non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo nel momento in cui incontro il suo sorrisetto divertito. Tristen.

Non posso stare tranquilla nemmeno quando mi trovo in infermeria.

«Stai bene, lentiggini?» Avvicino le sopracciglia in un'espressione corrucciata quando ripeto nella mia testa la frase che ha appena detto.

Il ragazzo che darebbe qualsiasi cosa per puntarmi una lama alla gola, godendo del mio sangue che sgorga, mi sta chiedendo se sto bene? No, non è possibile. Sono certa che mi sta prendendo in giro.

«Prima di vederti stavo sicuramente meglio», mormoro con la voce arrochita che allontano con qualche colpo di tosse. Lui non mi risponde e si limita a guardarmi con la testa inclinata seduto sul materasso con un ghigno divertito.

«Perché siamo in infermeria? Se hai davvero tentato di uccidermi giuro che...» stringo i pugni con una ritrovata forza che torna a farsi spazio nei miei muscoli, seguita dalla rabbia.

«Sei svenuta, il punto è che poi hai sbattuto la testa fuori dal tappeto. E comunque non ho tentato di ucciderti... per ora.»

«Dubito che ci proverai», faccio spallucce perfettamente convinta delle mie parole.

«Cosa te lo fa pensare?» chiede incrociando le braccia come se stesse implicando che la mia sicurezza potrebbe essere la mia rovina.

«Quando potevi farlo hai esitato. Gli assassini non esitano, e tu non sei uno di loro», affermo incrociando il suo sguardo che non aveva mai smesso di essere puntato su di me.

«Non mi conosci, magari sto solamente aspettando il momento giusto.» No, non ti conosco. Ma so che quegli occhi non sono quelli di un assassino.

«Allora mi metto comoda, Ahreton. Aspetterò pazientemente che tu decida di farmi fuori... magari fra qualche decennio, quando avrai trovato il momento perfetto», lo liquido con un sorriso vittorioso sistemando il cuscino dietro la schiena.

«Non mi chiedi nemmeno come sto. Siamo svenuti nello stesso momento, non ricordi?» Fa il finto offeso sbuffando sonoramente.

«Se mi interessasse te lo chiederei.»

Divided Lights - La scelta dei draghiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora