Capitolo 44

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WINNIE

Warren non ha mai lasciato la mia mano. Ci siamo fermati solo un minuto al solito cafè.

"Due caffè da portar via. Uno decaffeinato" dice alla barista, poi si volta verso di me e mi rivolge un mezzo sorriso che mi fa scaldare il cuore.

Una volta presi i nostri bicchieri, usciamo in strada. Prendo un sorso di caffè e finalmente sento il mio corpo che ricomincia a scaldarsi. Ora capisco perché War abbia insistito tanto per fare questa piccola tappa. Avevamo assolutamente bisogno di qualcosa di caldo dopo tutto il freddo che abbiamo preso sul ponte.

Le sue dita sono ancora intrecciate alle mie, anche mentre saliamo i vari piani per tornare a casa.

"È stato da solo per tutto questo tempo?" gli chiedo preoccupata. Non posso credere che lo abbiamo lasciato da solo per due ore dopo tutto quello che è successo. Ha bisogno di noi e invece siamo andati via.

"Tranquilla. Quando sono uscito a cercarti ho chiamato Mitch che era ancora in zona e gli ho chiesto di raggiungerlo a casa".

"Meno male" rispondo in un sospiro di sollievo.

War lascia la mia mano solo per poter afferrare le chiavi dalla sua tasca e aprire la porta. Il corridoio è buio, ma vediamo le luci che provengono dalla camera di Alex.

Mi fermo sui miei passi perché non sono sicura di quello che voglio fare e di quello che voglio da lui in questo momento. Come reagirà e come reagirò io? Cosa ci diremo?

"Tutto ok?" mi chiede Warren, notando il modo in cui i miei piedi non abbiano alcuna intenzione di avanzare. Scuoto la testa e lo guardo negli occhi. Lui mi rivolge un sorriso rassicurante. "Va tutto bene, orsetto. Io sono con te e non ti lascio affrontare questa cosa da sola. Non sei più da sola".

"Ho paura" riesco a sussurrare.

"Nessuno chiuderà più una porta a chiave. Nessuno. Se dovesse succedere, ti giuro che la butterò giù a calci e pugni, ma ti posso assicurare che non rimarrai più bloccata. Adesso entriamo in questa stanza perché Alex ha bisogno di noi, ma io ti prometto che rimango accanto a te".

Annuisco perché le sue parole mi hanno convinta. Cavolo se è bravo ad ammaliare le persone.

Warren apre la porta e Alex, seduto sul suo letto con i gomiti poggiati contro le ginocchia, solleva subito la testa. Si alza in piedi, ma Warren mette una mano in avanti. "Tu rimani seduto".

Alex si ferma e rimane sul letto, mentre io guardo Mitch seduto alla sedia della scrivania. Mi avvicino a lui, poggiandomi contro il legno del tavolo, e osservo tutti quanti.

"Winnie, mi dispiace..." prova a dire Alex. "Mi dispiace davvero tanto".

"Lo so" gli dico.

"Non avrei mai voluto farti una cosa del genere e dirti parole tanto cattive, ma... questa cosa è più grande di me e io... io non so cosa fare" dice, tenendosi la testa tra le mani e ricominciando a piangere.

Deglutisco a fatica perché vederlo in questo stato fa malissimo. Cosa è successo a quell'Alex sorridente che suonava la chitarra sulla spiaggia e che la sera preparava la cena con me?

"Hai ragione" dice Warren, intervenendo. "Questa cosa è più grande di te e di tutti noi messi insieme". Mentre pronuncia queste parole, non stacca mai gli occhi dall'amico, che trema dalla testa ai piedi. "È per questo motivo che hai bisogno di una mano".

Alex cambia espressione. Impallidisce e scuote la testa, alzandosi in piedi. "No, no, no, no, no... ti prego, War. Non farmi questo. Non di nuovo. Io non resisto lì".

Winnie: istruzioni per l'usoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora