Cap18.7 - non lo so -

599 26 12
                                    

-Sono qui.-
Il suono delle mie parole riecheggiava tiepido nella stanza, avevo perso passi nel tragitto e voce nelle urla. Le accarezzai le mani, la guardai fissa, prima le braccia, poi il volto, bagnato di acqua secca. Teneva gli occhi chiusi e la mascella serrata, la baciai, come a chiederle scusa per il ceffone di prima, la baciai, proprio lì sulla guancia, con delicatezza e paura, la baciai sfiorandole la guancia e trascinando le mie labbra umide fino a fermarsi sulle sue. La baciai. Mi baciò.

Sentii i suoi gemiti sulle mie labbra, gemiti diversi dal solito, rumori di disappunto, di tristezza mista a rabbia.

-Perdonami, ti prego, perdonami.- Fu la prima cosa che sussurrò una volta aperti gli occhi. Restai fissa sul suo viso continuando a scrutare ogni singola ruga d'espressione: impercettibile.

-Non lo so. So cosa ti stai chiedendo e, la risposta, la risposta è che non lo so. Non riuscivo a piangere. Non te ne ho parlato. Non volevo essere per l'ennesima volta responsabilità tua forse. Forse volevo cavarmela da sola. Forse non volevo risultare una stupida. Io, non lo so.- Continuai a fissarmi sulle sue labbra, le vidi muoversi capendo a stendo le parole che stava pronunciando.

-Perdonami. Ti ho ferita.- Vedevo le sue cicatrici, i suoi tagli ancora in vista. Si stava scusando con me, perché? Aveva ferito se stessa prima di tutto.

-Fede? Fede dì qualcosa, ti prego, parla.- Mi scosse la mano davanti agli occhi, ritornai a guardarla nel punto giusto della comunicazione.

-Cosa?- Mi ero persa.

-Mi perdoni?- I suoi occhi lucidi, ma al tempo stesso assenti, così scuri da potersi specchiare iniziavano, lentamente, a mettermi paura.

-Tu ti perdoni?- Questa volta fu lei a perdere il contatto visivo. In quel gesto avevo potuto leggere tutta la sua vergogna.

-Ancora non l'hai capito, vero?- Rialzò lo sguardo facendomi sgranare gli occhi.

-Cosa? Cosa devo capire?- Le afferrai la mano sedendomi al suo fianco sul lettino, lei sdraiata ed io ancora concentrata sui suoi occhi.

-A me non importa nulla di me. Potrei anche morire che non mi importerebbe. Non ho mai avuto paura di morire. Mai avuto paura di farmi male. Ma da quando ti conosco ho qualcosa per cui vivere e,- Si fermò, lasciandomi di pietra, lasciandomi persa.
-Ho di nuovo paura di qualcosa. Ho paura di farti male, paura di ferirti e, io, io non lo so. Non so perché ho fatto ciò che ho fatto, forse ho dimenticato per un attimo. Forse, forse per un attimo ho dimenticato te.- Quell'ultima frase mi colpì in pieno petto, come una palla da bowling sui birilli: aveva fatto centro, aveva fatto strike.

Provai a sollevarmi, volevo solo lasciare quella stanza, non volevo piangerle in faccia, ma mi trattenne con la mano, facendomi cadere con il busto addosso a lei.
Mi ritrovai il suo volto ad un centimetro di distanza. I suoi occhi continuavano a non dare alcun segno di umanità, i miei, invece, stavano iniziando a riempirsi di parole e polvere e lacrime.
Piansi, lei non batté ciglio.
Provai a divincolarmi, continuava a stringermi. Piansi più forte. Iniziai a mordermi le labbra.
Mi teneva stretta lei. E ad ogni mio movimento mi stringeva più forte.

-Io ti amo. Ma vedi, forse non sono fatta per l'amore.- Continuava a parlare, finsi di non ascoltarla. Mi divincolavo, mi stringeva.

-Non lo so Fede, lo capisci? Ti prego ascoltami, dammi retta. Io non so perché faccio ciò che faccio, perché rovino tutto ciò che di buono creo o che di buono mi capita di toccare.- Mi poggiò una mano sul volto spostandomi i capelli dagli occhi, assicurandosi la mia attenzione.

-Non volevo ferirti.- Le sputai in pieno viso. Lasciò la presa. Mi sollevai restando comunque seduta.

-Davvero ancora non capisci razza di idiota?? Mi fa male il solo fatto che tu possa pensare di farti male con così tanta tranquillità! Mi fa male che tu non abbia paura della morte. Mi fa male pensare che, se un giorno dovesse finire, tu non avresti più un motivo per cui non farlo! Mi fa male perché voglio che tu possa stare bene sia con me che senza di me. Perché voglio che ti ami e, ti rispetti nello stesso identico modo in cui faccio io da mesi e, finché. Dannazione.- Mi morsi la lingua, ma continuai un attimo dopo. -Finché non capirai questo allora io e tu non possiamo stare insieme.- Questa volta mi alzai per davvero.

E gli occhi di Nina, forse, iniziarono a colorarsi un po' di più.
Se non fosse stato per le sue parole, avrei potuto giurare di averla perfino sentita singhiozzare.

Mi allontanai, lasciando quella stanza nello stesso esatto modo in cui l'avevo raggiunta: correndo e, con un magone così intrecciato in gola da non potersi snodare con della semplice acqua.

Arrivai di fretta in camera mia e, mi buttai sul letto, iniziando a soffocare le urla sul cuscino. Mi aveva distrutta. Angelina, quella situazione, quell'amore mi stava distruggendo giorno dopo giorno.

"Non lo so"

Le sue parole continuavano a riecheggiarmi in testa. Avevo fatto male? Cosa avrei potuto fare di diverso?
Non volevo essere l'ancora di una nave che avrebbe potuto naufragare da un momento all'altro? Ero stata egoista? O forse, semplicemente, ero ferita? Magari non volevo che la sua vita dipendesse da me.
Come si affronta una cosa del genere? Come si aiuta una persona che non vuole essere aiutata? Non lo so.

I giorni a venire furono i più faticosi di tutti. La realtà in cui ci trovavamo non agevolava affatto quella situazione pesante e ingombrante.
Avevo paura. Paura di un sacco di cose. Paura degli occhi assenti di Nina e, paura di aver fatto male la mia parte.

Si avvicinava la quarta puntata del serale ed io, io non ero completamente pronta ad affrontarla.

-Fe come stai?- Madda continuava a farmi la stessa domanda da giorni, io continuavo a darle la stessa risposta.
-Sto bene.- Poi, puntualmente, mi giravo e andavo a fumare una sigaretta fuori, posizionando le mie cuffiette alle orecchie e cancellando il rumore del mondo esterno.

Mentre la mia playlist riproduceva un brano di Danu sentii una cuffia venire meno al suo dovere, mi voltai, Angelina era al mio fianco. Ancora una volta restai di pietra.

La vidi indossare la mia cuffia mancante e avvicinarsi a me stringendosi con le spalle. La guardai per un'istante, poi mi voltai vedendole fare la stessa cosa con la coda dell'occhio.

Era l'ora del tramando ed i nostri sguardi si fissarono all'unisono su quest'ultimo.

Sentii a pieno la canzone tirando aria dal naso.

"Dovrei smettere di credere che la vita fa schifo." Sperai che anche lei ascoltasse ogni singola parola.

"E Canteremo Coez fino all'alba
Accorgendoci che niente ci manca
Se ci serve ci faremo da spalla
Per dormire, per urlare
Per spaccarci la faccia"
Avrei voluto questo. Avrei voluto la forza per avere questo. Di Angelina amavo anche i guai, allora perché adesso non riuscivo a starle accanto? Avrei voluto tenderle la mano, ma avrei voluto che lei prendesse più consapevolezza della sua persona. Avrei voluto che si vedesse nello stesso identico modo in cui la vedevo io. Avrei voluto che capisse che, insieme non poteva mancarci nulla, ma che divise e insieme, avremmo potuto spaccare il mondo.

"Dai, se ci guardi bene
Sai che spacchiamo insieme."

"Non so cosa troverò alla fine del cammino
Ho visto giorni neri e ora mi sento un po' più vivo." Volevo che il suo buio potesse tramutarsi in luce, che fosse un insegnamento per il futuro e non un blocco per il presente. Il nostro presente.

"Ho fatto pace con me stesso
Poi con tutto il resto
Crepe nel cassetto, mi sono rimesso in sesto." Volevo che mi aiutasse ad aiutarla, aiutandosi.

"E Canteremo Coez fino all'alba
Accorgendoci che niente ci manca." Mi mancava lei, ora.

"Dai, se ci guardi bene
Sai che spacchiamo insieme
Dai, come in quelle sere
E poi, e poi." E poi?

Mi voltai a guardarla, trovai il suo volto già spostato verso il mio. Mi sorrise, cogliendomi alla sprovvista. Le mie labbra restarono incollate, come a non volere prendere posizione. Ma lei sorrise più forte. Poi spostammo nuovamente lo sguardo verso il tramonto. Le sfiorai la mano, mi afferrò il mignolo. La playlist continuò a riprodursi per delle ore.

Il cielo si fece azzurro di sera, il Sole era sparito del tutto, al suo posto, la Luna, aveva ricominciato a brillare: immobile fra le stelle.

Scivola nelle mie Mani vuoteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora