Capitolo 21 - Il lamento di Polanski

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IL LAMENTO DI POLANSKI

Il fatidico giorno dopo non è andato come i piani. Non mi sono alzato all'alba e non ho camminato per le vie di questa zona urbana per schiarirmi le idee. Mi sono a malapena alzato, con un gran mal di testa e la bocca impastata, mi sono fatto un caffe ben zuccherato e mi sono infilato in doccia. So cosa state pensando e no, non ho fatto il bambino cattivo. Non ho guardato le donnine nude sul cellulare e non ho pensato a Johanne, mi sono semplicemente insaponato, sono stato sotto il getto della doccia bollente e ho svuotato la testa da ogni possibile pensiero. Sono semplicemente stato nel momento, come dicono i buddhisti, ho ascoltato il rumore interno del mio corpo, dell'acqua che mi scrosciava in testa, e poi, quando ne ho avuto abbastanza dell'illuminazione tantrica, ho cercato e ricercato quel senso di vergogna della sera precedente, ho viaggiato nei meandri della mente e quando l'ho scovato, l'ho tenuto stretto, l'ho visualizzato, gli ho dato una forma simbolica di una statuetta dorata di una donna nuda. Lo so che sembra controproducente, ma in uno slancio psicologico, ho pensato fosse astuto dare questa forma ad un senso di vergogna per il fatto che penso sempre alle donne e non faccio che masturbarmi. Solo il tempo mi dirà se ho fatto la cosa giusta, per il momento, posso solo vivere giorno per giorno, darmi obbiettivi raggiungibili e darmi una pacca sulla spalla per ogni giorno che passa senza una sega. Quante volte l'ho fatto e poi ci sono ricascato? Tante. Tantissime. Fin troppe, però non demordo.

Alle otto e venti sono a lavoro, dopo aver fatto finalmente colazione a casa con uova, pancetta e il mezzo avocado di Maryanne che sedeva da giorni nel frigo. Cinque minuti prima dell'inizio del turno ero già nella mia cabina di controllo, propriamente agghindato e con tutti i dispositivi di sicurezza al proprio posto, pronto per affrontare la mia giornata lavorativa. Chissà che acconciatura avrà Johanne quest'oggi? Chissà che profumo emanerà la sua pelle e che riflessi avranno i suoi occhi. Sono tutte domande innocenti, ma so che non mi portano a nulla di buono. Questa mattina Maryanne si è svegliata poco dopo me e mentre ero in doccia si è premurata di confezionarmi un pranzo consistente in un sandwich al tacchino, una banana e una merendina. All'interno del sacchetto c'era anche un libricino ben più corto del mattone Dostojevskiano, con una nota scritta che ho letto prima dell'inizio del turno.

"Sono sicura che questo ti piacerà, leggilo, poi ne parleremo assieme", il tutto con una faccina ammiccante disegnata. Philip Roth "il lamento di Portnoy", ovviamente mai sentito, ma ci farò un giro lo stesso per vedere cosa mi dice. Amo questo nuovo me e non è passato nemmeno un giorno. Mi sento come se stessi andando in palestra da due mesi, quando ti rendi conto di quanto meglio stai quando ti prendi cura di te stesso, perché è quello che sto facendo adesso, mi sto prendendo cura di me e di riflesso della mia relazione con mia moglie e ancora più in generale, della mia vita. Le bottiglie cominciano a sbattere tra loro "clink-clank", scorrono davanti a me come le lancette dei secondi, "tik-tok" e io le osservo, osservo le loro forme e le loro eventuali imperfezioni, osservo cifre e cifre sullo schermo e non penso a nulla, non voglio pensare a nulla, perché so in cosa si potrebbero trasformare quelle cifre, lo so fin troppo bene ma non ne ho voglia, non ne sento il bisogno. Ecco, si tratta di un bisogno, una necessità biologica e fisica, un circuito malfunzionante in continua produzione di spermatozoi, alla continua ricerca di piacere, ed è dannatamente primitivo. Sono meglio di così e voglio dimostrarvelo. All'ora di pranzo non vado alla mensa e mi tengo ben distante dalla caffetteria. Esco dall'edificio immenso e color mattone, con la grandissima insegna che svetta sulla fiancata illuminata dal sole LuxGlass e mi siedo su una panchina tra due alberelli a mangiare il mio sandwich al tacchino e maionese con qualche pezzo di carciofo sott'olio. Davvero niente male. Quasi fossi una persona di spessore, siedo a gambe accavallate e con una mano reggo il sandwich, mentre con l'altra reggo questo libricino che già dalle prime pagine sembra parlare di me. Mi piace questo Roth, anzi, credo diventerà il mio autore preferito, un tizio che non fa altro che scrivere di seghe e eiaculazioni giovanili, pubertà e sessualità repressa ed una madre pressante e fin troppo presente che non fa altro che esasperare la sua sessualità. Non riesco a smettere di leggere, ma mi concedo una pausa per cercare notizie sull'autore, per sapere quanti e quali altri libri abbia scritto, questo ebreo vincitore di Pulitzer dalle sopracciglia folte e espressive. Una gran produzione, tutti dichiarati capolavori americani e tutti spiccatamente sboccati e stranamente incentrati sul sesso. Credo di aver scovato un filone letterario che mi appartiene, tanto dall'arrivare in ritardo alla mia postazione ma, poco male, ho cominciato cinque minuti prima stamane, mi potevo concedere qualche minuto in più all'aria aperta a leggere l'ennesimo episodio di masturbazione del protagonista del romanzo. La giornata fila liscia come fosse stata cosparsa di olio di ricino e alle sette di sera, dopo aver evitato qualsiasi tipo di conoscenza (quasi avessi paura potesse ricondurmi in tentazione) mi ritrovo a casa. Questa sera sembra una serata da cinese e involtini primavera, nuvole di drago e pollo alle mandorle, quindi mi accascio in divano senza nemmeno togliermi gli abiti di dosso e mi ributto nella lettura come un bravo studente che fa i compiti per casa. Mentre sono immerso nelle immagini oscene ed esilaranti del libro, mentre mi sembra di vivere l'esasperazione e il senso di oppressione del protagonista, ripenso al biglietto di Maryanne "sono sicura che questo ti piacerà, leggilo, poi ne riparliamo assieme". Cosa la rendeva sicura a tal punto? Per un momento rifletto sul fatto che Maryanne ha sempre saputo tutto di me e del mio "problema". Dopotutto, è la persona che meglio mi conosce su questa terra, a volte, anche meglio di quanto io conosca me stesso. Che abbia sempre saputo tutto, ma con incredibile pazienza abbia sempre fatto finta di nulla, sopportando in silenzio la mia deviazione sessuale? Che abbia sempre fatto finta di dormire tutte quelle notti in cui mi chiudevo in bagno a rovistare tra la spazzatura pornografica come un procione eccitato? A masturbarmi con l'acqua che scorre cercando di camuffare ogni possibile suono provocato dal violento lucidare della manopola che mi ritrovo tra le gambe? E' assurdo persino pensarci, non potrebbe essere. Eppure questo libro sembra scritto da me, a parte qualche particolare qua e là e l'epoca decisamente antica.

Sex Doll (COMPLETO)Where stories live. Discover now