19-Solitudine

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(2 Febbraio)

Rimasero zitti per qualche secondo, non aveva più voglia di continuare.
Almeno non quel giorno.

Non poteva più rivivere i ricordi, ebbe l'impressione che se avesse detto un'altra parola a proposito, sarebbe stata la fine.

Lo sentiva , era come un buco nero e mancava  poco che ci cascasse  dentro, la teneva dal piede, tirava verso giù, tirava verso la disperazione, e non poteva  lasciarsi  andare.
Doveva essere forte, doveva  pensare a Sabrina.

<M-mi dispiace, non riesco...>
Balbettò , lui la guardò comprensivo e annuì .

Era strano, non avrebbe dovuto.

Il suo lavoro era capire non accettare, e fregarsene dei suoi  sentimenti, calpestarli come la Ferguson.

<Certo>
Gabriel socchiuse  gli occhi per un momento, poi sfilò il suo cellulare dalla tasca sinistra  del giubbotto.

Lo accese e guardò  l'ora.
Rialzò lo sguardo, cercando gli occhi di Cassandra.

<Dovrei andare ora, mi aspettano a lavoro>

Cass fece di sì con la testa anche se una strana tristezza le attanagliò lo stomaco.

Cercò di convincersi che stare un po' da sola le avrebbe fatto  bene, ma in realtà aveva  paura di cosa avrebbe potuto  ricordare, di cosa sarebbe potuto succederle .

Gabriel la ispezionò ancora, in cerca di qualcosa che non trovava.

La sua  faccia era una maschera di cera , non tradiva alcuna emozione.

Una parte del suo essere avrebbe voluto  pregarlo di non andare via, o al massimo di portarla con sé, ma restò  impassibile.

L'uomo si alzò dalla sedia e si guardò  intorno, poi si rivolse  nuovamente a Cass con un tono da poliziotto eppure  rimaneva nella sua voce una strana nota di dolcezza.

<Mi puoi chiamare in qualsiasi momento, ricorda>

<La chiamerò>
Disse lei sovrappesiero,  Gabriel abbassò  le sopracciglia, sembrava più rilassato, anche se guardingo.

<Se ne avrò bisogno>
Specificò, subito dopo, mordendosi le labbra, sanguinavano , ma molto meno di prima, grazie all'acqua.

Rammentò  solo ora di essere avvolta da un semplice asciugamano, arrossì leggermente.

Poi si ricordò  del suo  corpo gracile, delle sue  ferite, e pensò  di non essere bella.

Chiunque l'avesse vista  nuda non avrebbe desiderato  altro che girarsi, sarebbe stato  spaventato da lei , nessuno l'avrebbe mai considerata una donna, ma un mostro.

Ritornò  pallida, mentre uno strato sottile di lacrime le velò gli occhi.

<Certo>
Sussurrò Gabriel dopo un ultimo breve sorriso e scomparì, sbattendo la porta.

La stanza ritornò buia, senza di lui.

-
Salutò  gli agenti in auto e li ammonì di  stare in guardia.

Non sapeva  perché ma ebbe  la brutta sensazione che Cassandra non fosse  al sicuro lì .

Era una paura strana la sua ,non ne provava neanche un briciolo per se  stesso in confronto a quella che provava per lei.

Teneva alla sua  vita, anche se facendo quel lavoro si era abituato alle morti improvvise e la sua  dipartita  non sembrava neanche troppo lontana.
Un proiettile non schivato, un colpo alla testa e avrebbe potuto  non risvegliarsi più.

Ma non gli importava , lui  aveva  accettato il rischio, amava il rischio e amava proteggere le persone.

Cassandra non aveva  accettato nulla, il suo non era un lavoro, la sua era una dannazione.

Sperò solo che prima o poi sarebbe riuscita a vivere normalmente, che avrebbe avuto una famiglia, una vita felice e che avrebbe lasciato andare la paura di venire aggredita tra le mura della propria casa,

è orribile non sentirsi al sicuro, dovunque ci si trovi.

Cercò di  non pensarci ma non potè  fare a meno di considerare  che il destino fosse  stato crudele con lei ,

che non si fosse accontentato   di portare via gli anni più belli di una ragazza, ma avesse dovuto  per forza rovinare una vita intera.

Scosse  la testa, e si  disse  che non era affare suo , che nessuno aveva  una vita perfetta e che queste cose succedevano , ma non si riuscì  a rassegnare.

Aveva  visto persone che non resistendo a quella vita si erano  sparate in testa, non avevano voglia di andare avanti.
Non poteva  permettere che le succedesse , a qualsiasi costo.

Chiuse  la portiera dell'auto, e si  guardò  intorno, poi fece  il numero di Hank.
Rispose al primo squillo.

<Com'è andata?>Chiese, frettoloso il capo, la sua voce roca, trascinata, stanca.

Gli riferì le cose principali che gli  aveva  detto Cassandra, appena finì anche il suo sgomento era tangibile.

<non possiamo arrestarli così, dobbiamo incastrarli, la Ferguson ha ragione, la ragazza starà sicuramente  dicendo la verità ma un buon avvocato farebbe cadere le accuse>
Sussurrò  ancora, abbassando il tono, non volendosi fare sentire.

Gli diede  ragione.
Solo ora stava  capendo quanto questo caso fosse  importante, ma credette  che un po' di aiuto dalla sua  squadra fosse  necessario, non si  fidava  della CIA, aveva  visto come lavoravano , lui era  per i metodi più veloci anche se un po' drastici.

<E in più...>

Continuò .

<Chi dobbiamo accusare?
Ancora non ha fatto nessun nome>
A questo punto  si alterò, Gabriel  gli rispose  a tono, difendendola.

<È sotto shock, so che è importante ma forzarla potrebbe non essere la decisione adeguata>

Hank si zittì .

<Si forse hai ragione.
Domani la farò  vedere dalla dottoressa Hilbert, e se sarà pronta chiameremo qualcuno per le identikit>

<Va bene, solo...>
Era quasi penoso ma non voleva  che vedesse  troppe facce, troppi estranei, aveva  già reagito male a stare in auto, chiusa con due agenti speciali dell'FBI, si domandò  cosa potesse  fare vedendo  un solo uomo vestito da poliziotto che bussava alla porta, gridando il suo nome.

<Ormai mi conosce, si fida, verrò a prenderla io domani mattina>

Il capo rispose  poco dopo.
<Certo, nessun problema, ma Gabriel...fai  attenzione>

"A cosa?" Stava  per chiedergli ma chiuse  la chiamata subito dopo tanto che le parole gli morirono  in gola.

Serrò le labbra.

Gli era sembrato  quasi un avvertimento personale, non gli aveva  detto di fare attenzione a cosa potesse  succedere a Cassandra, ma a lui in persona.

Accese l'auto  e  nel frattempo prese una sigaretta dalla tasca, la accese e si  diresse  a lavoro, rimurginando ancora su quelle  parole.

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