56-Ospedale

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Cassandra si portò di fronte al lavello della cucina, il corpo dell'uomo era ancora steso davanti al suo sguardo.

Si sedette a terra, e continuò a piangere.

Doveva avvisare qualcuno.

Ancora nel pieno di un trauma emotivo, afferrò il telefonino che teneva in tasca per le emergenze.

Lo prese tra le mani e cercò di comporre il numero di Gabriel ma le lacrime la costrinsero a ripetere l'operazione più volte.

Non riusciva a pensare lucidamente e appena sentì la voce calma dell'uomo fu come se dio le avesse offerto una mano dal cielo.

<Cassandra, stai bene?>

Un suo singhiozzo chiarì la situazione.
Gabriel si allarmò immediatamente.

<Cassandra cosa succede?>
Le domandò con un tono più alto.

La confusione che aveva Cassandra in mente però non si fermò, era accaduto tutto troppo velocemente e la consapevolezza di essere un'assassina quasi la uccise.

Era diventata come uno di quei mostri che gestivano l'associazione.

Una persona senza cuore.

<G-gabriel per-r favore,a-aiuto>

<Cassandra per l'amor del cielo, cosa diavolo sta succedendo? Dove ti trovi?>

<Qui >

Sperò che Gabriel capisse al volo che non si era mai mossa dalla Safe House.

<S-sono v-venuti a prendermi>

<Cassandra non ti muovere, nasconditi in un armadio e aspettami!>

Fu l'ultima cosa che disse prima di sentire il cellulare scivolarle dalle mani.

Si nascose in un angolino e si chiuse il volto con le mani.
Non riusciva più a vedere quel corpo senza ricordarsi di essere stata lei stessa l'artefice di quella morte orrenda.

Gli aveva piantato un coltello tra la carne, quasi riuscì a sentire ciò che aveva provato quella persona.

Le sembrava che ogni colpo  che aveva inflitto ora venisse rifatto su di lei.

<Mi dispiace >
Sussurrò, scuotendo il volto.
I capelli puliti ora impiastricciati di sangue e muco.

Eppure non riusciva proprio a pensare al suo aspetto disgustoso.
Tutto ciò che la tormentava ora era la sua colpa.
L'aver ucciso, anche se per difendersi.

Dopo un tempo indefinito passato a torturarsi la mente si alzò,
quando un rumore si fece spazio dal giardino.

"Sono ancora qui"

Per poco non crollò.

"Devo essere forte, per Sabrina, lo faccio solo per lei"

Aprì un cassetto e prese un altro coltello, questo era più piccolo dell'altro ma altrettanto tagliente.
La frenesia la portò a nascondersi dietro la porta.
I suoi gesti si stavano ripetendo, quasi come fosse dentro un film, in cui si ripeteva sempre la scena peggiore.

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