22-Ricordi

21.3K 915 71
                                    

(3 Febbraio)

Entrarono insieme nel palazzo.

Un fascio luminoso la investì appena attraversò la porta, proveniva da una delle tante macchine al centro della sala che scannerizzavano il corpo, in cerca di sostanze o oggetti vietati.

Le porte metalliche risplendevano , una dopo l'altra.

Le divise blu giostravano dei monitor, osservando con occhi ansiosi, cercando, ricercando, poi si arrendevano , quando l'uomo passava indisturbato , e mandava un cenno col capo in segno di saluto.

Con il prossimo riprendeva il loro lavoro.

Nell'aria si respirava contegno, spaventoso nemico della felicità, Cassandra si strinse nel suo maglione rosa, incrociando le braccia magre.

Il tessuto lanoso le arrivava oltre il bacino, arricciandosi sul sedere e coprendo il jeans troppo largo di vita, che perciò andava cadendo.

Lei tentava sempre di fermarlo, e per qualche secondo ci riusciva, ma quel blu scuro minacciava di scendere,

sfiorando la sua pelle lattea e allora le toccava spostarlo su, tirando con il dito uno dei tanti fori per la cintura.

Era stata stupida a non cambiarsi prima, a casa, magari avrebbe trovato qualcosa della sua taglia.

O forse no, forse era troppo magra per i vestiti che tutti indossavano con disinvoltura, sentendosi perfettamente fasciati e protetti.

Le sembró quasi di essere nuda, lì, davanti a tutti, o di starsi coprendo con un grande, pesantissimo piumone che andava trascinandosi per tutto il corridoio .

Quel posto le metteva soggezione in realtà, si sentiva diversa, e non solo per il suo abbigliamento sbagliato, l'accostamento di colori che la faceva sembrare sempre più una bambina sperduta, figlia di un'isola dell'eterna gioventù.

No, non era solo questo.

Cassandra non si era mai unita al gruppo e non aveva mai capito perché la gente dovesse essere così perfida, nei propri giudizi.

A volte sua madre le assicurava che era per la sua bellezza, che le donne fossero invidiose della purezza adolescenziale che la contraddistingueva.

Cassandra così si guardava allo specchio di famiglia, un vecchio cimelio affisso nella parete più grande della casa, e vedeva il viso così anonimo, chiaro, con qualche lentiggine minuscola sparsa a caso.

Gli occhi scuri, impenetrabili, sembravano una punizione per lei, che osservava quelli blu o verdi delle compagne di scuola, o anche quelli delle altre donne della sua famiglia.

Sì sentiva quasi una pecora nera.

Sapeva di non essere esattamente brutta, questo si.

Il fisico era abbastanza slanciato , le gambe e le braccia forti, quasi quanto quelle del padre.

Le piaceva aiutarlo nei boschi, spaccare la legna, sporcarsi tutta con quella fanghiglia che si andava formando dopo la pioggia leggera.

Ne prendeva sempre un mucchietto tra le mani, poi si nascondeva dietro un albero, aspettando silenziosamente che il padre o il nonno venissero a cercarla.

Appena vedeva qualcosa muoversi tra gli arbusti lanciava quella sporcizia.

Sospirò ricordandosi quando una volta aveva colpito in pieno volto la madre.

Quegli occhi azzurri le avevano mandato lo sguardo più assassino e spaventoso che avesse mai visto fino a quel momento.

Per qualche secondo la scena si era come bloccata, poi non si sa come, avevano cominciato entrambe a ridere, senza potersi fermare.

•UNDER MY SKIN•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora