20-Incubo

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(2 -3 Febbraio)

Salì in camera da letto un'ultima volta, chiuse la porta alle sue spalle.

Il rumore la fece sobbalzare , si maledisse da sola, il silenzio era tale che amplificava tutto.

Sì avvicinó al letto e ci si sedette sopra.
Respirò profondamente, poi si levò il maglione, quasi fosse un automa.

Il problema non era tanto che aveva fatto la stessa cosa almeno un migliaio di volte, tanto il fatto che lo aveva fatto a casa.
Con la famiglia a pochi metri da lei.

Con loro si sentiva al sicuro in fin dei conti.
Pensava che con il padre vicino nessuno avrebbe mai osato toccarla.

Eppure l'avevano rapita e le avevano fatto più male di quanto credeva di poter sopportare.

Nonostante fosse notte fonda sentiva caldo, proprio come la notte in cui era stata rapita.

Fu uno strano dejavu che per poco non la portò alla follia.

Si lasciò i Jeans addosso, e cercò qualcosa da indossare nell'armadio.

Afferrò la prima cosa leggera che le capitò a tiro, una canottiera nera.

La indossò , sfregava contro le ferite, così cercò di sopprimere il dolore.
"Guariranno " Sì disse , ma non ne era tanto sicura.

Ormai erano scavate nella sua pelle.
Anche se non fossero state rosse e sensibili per sempre sarebbero rimaste,

non avrebbe potuto indossare altro che indumenti larghi, pesanti e scuri, per celarle ad occhi indiscreti.

Abbassò le palpebre per un momento, poi le rialzò.

Non aveva nessuna intenzione di piangere anche se le sarebbe servito, riversare la sua frustrazione.

Aveva paura che non potesse più smettere una volta cominciato.

Ritornò a letto, si stese a faccia in giù, verso le coperte.
Sapevano di Vaniglia, di Gabriel.
Era strano.

Forse aveva dormito anche lui in quella stanza.

Si sorprese ad annusarle quasi come un drogato, quando, spinto dal bisogno, consuma la sua ultima dose,
la più letale eppure la più bella.

Strinse le mani, quasi stracciando il tessuto.

Strizzò gli occhi, e spinse il viso contro la coperta, come se fosse Gabriel stesso ad abbracciarla.
Singhiozzò rumorosamente.

Non ricordava nemmeno quale ora fosse quando smise di avere cognizione di tutte le lacrime riverse che le bagnavano il viso e si ritrovò al buio.

La prima cosa che vide erano catene, le legavano i polsi e le braccia fra loro.
Dorate, sporche, si prolungavano fino al muro.

Girò lo sguardo, questa era la sua stanza del castello, gli stessi muri costituiti da quelle pietre dure, imperturbabili, che avevano assistito a tante violenze , e come la sua luna non avevano mai fatto nulla.

Il materasso a qualche metro da lei era il luogo dove aveva passato le notti negli ultimi mesi.

Certe volte alzava lo sguardo al cielo,lo osservava tramite quella finestra sporca e il vetro vecchio e scheggiato, e si chiedeva cosa avesse mai fatto di male nella sua vita.

Avrebbe voluto essere punita per una colpa vera e non per aver rifiutato di farsi asservire ad un uomo.

Sentì il suo cuore vacillare, strozzato dai suoi sentimenti, impaurito per ciò che le sarebbe successo.

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