7-Sguardi

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(1 Febbraio)

Cassandra si guardava intorno da ormai mezz'ora, cioè dalle 11, o almeno le avevano detto così.

Dopo averla portata in una stanza più isolata, composta da 4 mura scarne, con solo una sedia a nord est,le avevano offerto un piatto di carne.

L'aveva rifiutata, era fredda, e non aveva un buon colore.

Il suo scopo, finché non le avesse trovate, sarebbe stato sopravvivere , solo lei poteva aiutare L'FBI a capire dove cercare e soprattutto chi.

Sì alzò in piedi, appena vide una finestra, in alto.
Aveva bisogno di vedere qualcosa che non fossero pareti, aveva bisogno di essere libera.

Spostò la sedia, ma prima lanciò un'occhiata alla porta.

Non sentì rumori, né alcun segno che la stessero controllando.

"Bene "
Pensò, salendoci su.

La piccola finestra non era libera, ma c'erano delle sbarre sottili distanziate.

Il metallo le impediva di vedere bene, ma la luce della luna piena non poteva essere un oscurata.

Le brillarono gli occhi mentre osservava quella rotondità pallida ma lucente, a volte voleva essere in cielo, come lei, e assaporare la sensazione di potenza.

"Nessuno può toccare la luna, né tanto meno imprigionarla"

Poi quando succedeva si ricordava che la luna, una prigione ce l'aveva, ed era la stessa in cui viveva, senza potersi muovere, né scappare, come aveva fatto lei.

La sua casa, il cielo, era il limite più grande.

Cassandra assaporò ancora per qualche minuto l'aria fresca che la notte le concedeva, poi sentì dei rumori, porte che si sbattevano .

Pensò che fossero venuti a prenderla, i boia, ma la voce di White, la rassicurò.

<È in quella sala in fondo, queste sono le chiavi>
Sussurrò l'agente, ma non abbastanza piano perché lei non potesse sentirlo.

<Bene, sbrighiamoci>
Una voce roca rispose a White, Cassandra non l'aveva mai sentita prima da allora.

Il suono non le dispiaque affatto, le ricordò poco quello del padre, ma questa volta era un uomo giovane a parlare, ne fu convinta.

Rimase ferma dov'era.
In ogni caso non poteva pensare che volesse scappare da un'apertura di trenta centimetri, sbarrata per giunta.

Sentì la chiave entrare nella serratura, e uscire poco dopo.
La porta si aprì .

Non si voltò , e scoprì di avere paura , non sapeva di cosa, ma sentì immediatamente lo stomaco contorcersi.

<Ciao, mi chiamo Kole, lavoro per l'FBI, devi venire con noi ora>
Era una voce profonda, ma non quella di prima.

A questo punto si voltò e li vide.
Un ragazzo di trent'anni o giù di lì la osservava da vicino, con la mano in avanti, aspettandosi una stretta.

Aveva i capelli scuri molto corti, la pelle mulatta che la luce lunare rivelava completamente liscia, senza nemmeno una piccola traccia, un segno di sofferenza.

Un sottilissimo strato di barba gli circondava le labbra rosa scuro in lievissimo contrasto con il suo colore.

Cassandra gli sorrise mestamente, poi si concentrò su una figura alta, che restava in fondo, con le spalle schiacciate contro la porta.

Non riuscì a scorgere alcun lineamento del suo volto a causa dell'ombra di Kole, e della sua posizione scostante.

<Lui è Gabriel>
Lo presentò il collega, indicandolo.

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