Capitolo 19 - "Guilt"

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Nel momento in cui svolto l'angolo, so di non avere ripensamenti, e se mai dovessero nascere, saranno ancora qualcosa di invisibile e che non porteranno peso su di me

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Nel momento in cui svolto l'angolo, so di non avere ripensamenti, e se mai dovessero nascere, saranno ancora qualcosa di invisibile e che non porteranno peso su di me. Ma la sensazione che però provo, quando riprendo il passo, non so che natura abbia e che nome porti con sé.

Lascio ciò che ho voluto lasciare alle mie spalle, e non mi volto, nemmeno per un istante. Sono abituata a rispettare le mie scelte anche se sono sbagliate, più indecise di me. Trattengo quello che tenta di uscire con la speranza di esserne in grado, ma la gola si annoda di nastri, e so di non poterli sfilare, quando lo sento, di nuovo, accanto a me.

"È una mania, la tua, quella di fuggire sempre?" Mi chiede. Accelero il passo cercando di ignorarlo, ma i passi di Maxwell li sento, li sento come se fossero miei.

"Dipende dalle circostanze."

"Questa era dunque una circostanza da cui bisognava fuggire." Commenta dietro di me. Aggiusto meglio la borsa sulla spalla, ingoiando anche la voglia di mettere fine a questo discorso che non so fin dove arriverà.

"Non ho più niente da dirti." Trovo una giustificazione. "Restare sarebbe stato solo uno spreco di tempo, non credi?" Mi volto e lui si lascia guardare.

"C'è sempre qualcosa da dire." Si affianca al mio corpo e io lo seguo con gli occhi. Riprendo a camminare, ma scuoto la testa. Maxwell lascia le mani in tasca e prosegue il suo cammino al mio fianco, io serro le labbra promettendomi di non parlare.

Quello che mi aspettavo non era di certo questo. Camminiamo respirando il silenzio, io il mio, lui il suo. Mi va bene così e non mi lamento.
Ma Maxwell crede che ci sia sempre qualcosa da dire. Anche in situazioni come queste. Io non credo sia così. Le parole e le speranze dopo un po' finiscono, diventi un corpo che da raccontare non ha più niente, e se non hai da raccontare, è inutile provare a parlare.
Ma ti ritrovi a guardare la vita anche in altre prospettive, e ti chiedi se la tua visione, in fondo, è quella che tutti dovrebbero vedere.

Nell'istante in cui mi giro di nuovo per guardarlo, mi chiedo se la vita che viviamo è la stessa, se quello che sto pensando, ora, è lo stesso pensiero che sta cogliendo lui. Mi fermo e lui porta lo sguardo su di me.

"Stavi pensando di dire qualcosa?" Mi domanda con tono derisorio. Sto pensando a troppe cose, sto pensando di non dare voce ai miei pensieri, perché il rumore che si portano dietro non può non essere ascoltato.
Dicono che il rumore che provochiamo può essere attutito, ma non il mio, non il mio rumore.

"Deduco di no." La risposta che voleva sentirsi dire se la crea da sé. La gente continua a sorpassarci mentre noi restiamo al nostro posto, con la stessa postura, senza sangue nelle vene.

"Tu non hai niente da dire?" Gli chiedo, e forse una parte di me ci spera. Maxwell si stringe nelle spalle e scalcia il vuoto.

"Non voglio sprecare fiato. Sai, mi serve per vivere." Mi risponde. Avverto il mio viso diventare fuoco insieme a tutto il resto del  corpo. Convinco me stessa che quello che ho appena avuto modo di sentire non era altro che illusione, ma più lo guardo, più realizzo che non è così.

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