Capitolo 39 - "Cage"

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E gli occhi vagano tra gli oggetti di questa stanza, si fermano per caso, forse per stanchezza

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E gli occhi vagano tra gli oggetti di questa stanza, si fermano per caso, forse per stanchezza..

Le mani restano tese, rigide come corde sulla maniglia della porta. Soffoco un respiro e la paura torna ad essere viva, profonda, terribilmente spietata. Mi attraversa dove credevo non potesse mai arrivare. Punti deboli. Vulnerabili.
Ritraggo istintivamente la mano e rinasco in un sospiro stanco, debole quanto me. Allontano i miei passi dall'uscita e, piena di confusione, mi siedo sullo sgabello. Mi fermo a pensare.
Dormire a casa di Emma, questa notte, è stato davvero terapeutico per il mio umore instabile, ma una parte di me, quella più nascosta, la meno fragile, avrebbe evitato questa mia scelta ad occhi chiusi.
L'ospitalità di Emma è stata impeccabile come la sua gentilezza. L'ho chiamata nel bel mezzo della notte senza alcun preavviso, e lei mi ha accolto a braccia aperte nonostante io fossi con la mente e il cuore altrove.
Maxwell era con me, quando ho chiuso la telefonata con Emma, quando appoggiati ad un muro ricoperto di scritte aspettavamo che la mia amica venisse a prendermi.
Più volte ci siamo guardati per caso, a volte per sbaglio.. E quante scuse inventate sul momento, solo per fuggire dal suo sguardo.

Le possibilità per ritornare nel suo appartamento erano ovviamente chiare ed evidenti, ma qualcosa.. Qualcosa di grande mi aveva spinta, ancora una volta, a correre. A correre forte. Per fuggire da un'emozione, dal rancore, dalle bugie di Bonnie e da quelle di mia madre.

Afferro con foga la mia borsa e la poggio sulle gambe. Ho bisogno di bere e di mandare giù anche i pensieri. Frugo tra le mie cose, cercando e scavando, senza trovare quello che speravo. Alzo lo sguardo verso la mensola e vedo la mia bottiglia d'acqua. È ancora piena, c'è il mio nome inciso sopra. Sorrido, perché so che queste piccole attenzioni provengono da Emma e dal suo essere sempre precisa in tutte le cose.
Bevo un sorso d'acqua. Due sorsi. Tre. Ingoio questo strano malessere che mi attanaglia da questa notte lo stomaco, e sospiro, aspettando un cambiamento. Mi passo distrattamente una mano tra i capelli arruffati mentre questo lungo silenzio viene interrotto dal rumore della porta.

"Posso?" Emma si affaccia con un piccolo sorriso sulle labbra. Rispetta i miei spazi nonostante ci troviamo entrambe sullo stesso posto di lavoro. Le sono grata per questo, anche se non riesco a dirglielo ad alta voce.

"Certo. Certo che puoi." Ricambio il suo sorriso a metà. Sposto gli scatoloni che sono a terra cercando di farle spazio, ma lei mi blocca con una risata. Prova a mettermi subito a mio agio e di evitare, almeno per questi pochi istanti, qualsiasi tipo di domanda.

"Oggi è una noia mortale. Per passare il tempo mi sono dovuta mettere a pulire da cima a fondo tutto il locale. E ho detto tutto." Emma mi aggiorna su quello che sta accadendo e io non posso fare a meno di sorridere nell'immaginare la scena.

"Tu a che ora finisci il turno?" Mi chiede aprendo la porta esterna del magazzino. L'aria fredda dell'inverno mi sfiora la pelle.

"Tra poco." Dico guardando l'ora sul telefono.

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