Capitolo 33 - "Fears"

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Giro la forchetta nel piatto, taglio i pezzi di pasta, li scanso, li raccolgo

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Giro la forchetta nel piatto, taglio i
pezzi di pasta, li scanso, li raccolgo. Bonnie mi parla dall'altro capo del telefono, mi spiega le sue teorie e io provo ad ascoltarla. La sua voce mi invade la testa ma non abbastanza da tenermi lontana dai pensieri. Loro vivono, si prendono gioco di me.
Abbasso lo sguardo verso il piatto e blocco i movimenti del mio corpo. Il rumore del mondo si trasforma improvvisamente in silenzio.
E io da questa vita non riesco a starne fuori, io nella mia mente ci vivo, ci vedo l'eternità. Ma la confusione che sento è così chiara che non ha bisogno di essere compresa, per restare.
Lascio cadere la forchetta nel piatto e la voce di Bonnie prende nuovamente forma. Stringo la presa sul telefono, mi lascio guidare dalle sue parole.

"Devi fare quello che ti senti, nessuno può scegliere per te. È una serata che puoi evitare, certo, non sei mica costretta ad andarci per forza." Mi dice Bonnie, più decisa che mai. "È ovvio che non andando ti renderesti conto di tante cose. Ti cerca? Non ti cerca? Quello che è successo, per lui, è davvero stato importante?"

"C'è anche la possibilità che Ines non gli abbia parlato di me. Che non gli abbia parlato dell'invito in generale." Do voce ai miei pensieri. I consigli di Bonnie li conosco bene, li seguo da una vita. E forse dovrei farne tesoro, ma quando si tratta di Maxwell io, una decisione, non la so prendere. Inciampo nei miei stessi pensieri da sempre, e questo Bonnie lo sa, lo percepisce anche adesso a metri di distanza.

"Sì, non lo escludo. Ines è imprevedibile." Mi dice dandomi ragione. "Ma niente è certo, ora come ora. Quindi sta a te capire e decidere. Probabilmente, se ci fossi stata io al tuo posto, non mi sarei mai presentata alla serata. E non per una questione di coraggio, intendiamoci."

Faccio scorrere le dita lungo il tovagliolo, lo piego in due parti. Lo giro più volte, osservo gli angoli, allungo il braccio sul tavolo e afferro la penna a pochi centimetri da me. Scrivo il mio nome, scarabocchio finché posso, finché c'è inchiostro. Disegno forme astratte, tutte quelle che mi ricordano la vita. E quanti pezzi di carta ho conservato, per ricordare. Sporchi di penna, consumati, pieni di colore. Mio padre teneva i miei disegni nei cassetti di casa, nelle agende, nelle pagine di un libro. Si sentiva meno solo, quando li osservava, mi diceva. Si sentiva più  vicino a me.

"Fallie, ci sei?" Mi chiede Bonnie, cambiando tono di voce. È preoccupata e lo sento, mi bastano poche parole per capire i suoi dubbi. Fermo la mia mano, smetto di disegnare. Sento la voce di mio padre nella testa, mi ricorda la vita, la nostra. Quella vissuta ad occhi aperti, senza le mani sugli occhi.

"Scusami, ero sovrappensiero." Le dico scansando il tovagliolo. Guardo la penna scivolare lungo il tavolo e, dopo un lungo sospiro, riprendo a parlare. "È stata una giornata stancante, piena di cose. Vorrei solo spegnere la mente e non pensare più."

"È successo qualcosa a casa?" Si allarma.

Raccolgo la pasta con la forchetta, ne mangio un boccone. È fredda ma pur sempre mangiabile. "Una cosa del genere.."

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