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Entrai in aereo e sentì una scossa dentro di me, ma non fu né positiva né negativa, era una sensazione neutra, come se fossi vuota, come se tutte le emozioni che provavo prima di partire si fossero azzerate, ero priva di sentimenti e mi sentivo strana, era per la prima volta in vita mia che il mio cuore era invisibile al mio petto.
Non c'era da escludere il fatto che ero terribilmente agitata, avevo paura che qualcosa andasse storto, stava andando tutto molto bene e in modo inaspettato, la notizia del viaggio, la partenza senza alcuna complicazione era tutto perfetto e ciò mi spaventava.
Qualcosa doveva succedere, qualsiasi cosa, anche una minima incongruenza doveva capitare per distruggere quel pesante sassolino di ansia fissata nella mia testa; se accadeva un problema almeno il peggio sarebbe passato e io non avrei dovuto preoccuparmene, ma tutto stava ancora filando liscio e il mio stato d'animo tormentato mi stava divorando.
Intanto, il volo sembrava non terminare più e il tempo non voleva per niente passare imprigionandomi nei miei stessi pensieri, non avevo alcuna via di fuga rinchiusa in un aereo, non avevo distrazioni per far riposare la mia mente dai futili pensieri.
Ero rinchiusa qui dentro da ben nove ore e sinceramente non ne potevo più, mancavano ancora quattro ore e io mi sentivo sul punto di impazzire mentre la noia mi stava calciando il corpo in una maniera assordante, dovevo ricordarmi per il futuro di non scegliere mai un volo diretto e preferire le coincidenze.
Ero seduta vicino a Dylan che aveva vinto a sasso carta e forbice contro di me e si era preso il posto accanto alla finestra mentre a me era toccato quello alla sua destra con il corridoio di persone che facevano via vai per il bagno, non ero in una delle mie migliori situazioni ma il solo fatto di volare verso l'America, stava trattenendo la mia ira.
In più Dylan si era addormentato e la sua testa penzolante era caduta sopra la mia spalla, volevo scrollarmelo da addosso siccome non riuscivo a muovermi liberamente ma svegliare Dylan da un sonno incompleto era come entrare nella gabbia di una tigre affamata, mi avrebbe ammazzata in meno di tre secondi.
Perciò decisi di non rischiare e di non creare scene in pubblico, mi sarei vendicata più avanti e in terra ferma, così decisi di guardarmi un film sullo schermetto presente davanti al sedile e portare la mente altrove mentre il mio cuore volava già verso la calda spiaggia di Los Angeles.

Finalmente dopo lunghissime e attese ore soffocanti, scesi dal maledetto aereo, quando mi alzai dal sedile, sentì i muscoli delle gambe tirarmi per il dolore, mentre lanciavo un occhiataccia a Dylan che si stiracchiava accanto a me sorridendo.
Ci avviammo verso l'uscita dopo aver fatto il ceck-out con mille controlli di sicurezza, e mentre stavamo pensando a come procurarci un taxi in mezzo a tutta questa folla di persone, scorsi con lo sguardo un uomo fermo con in mano un cartellino scritto sopra il nostro cognome O'Brien.
"Ah guarda la tua amica ci ha mandato una macchina per andare da lei", disse papà avviandosi verso l'uomo in cravatta nera e capello dello stesso colore.
"Famiglia O'Brien diretti presso la dimora dei signori Waston?", chiese il signore che assumevo fosse un autista.
Il papà confermò e il signore fece cenno di seguirlo e noi lo assecondammo senza aggiungere altro, eravamo tutti sfiniti dal viaggio per riuscire a porci altre domande.
Salimmo in una macchina nera lussuosa e tirai giù velocemente il finestrino accanto a me per prendere una boccata d'aria, il mio primo respiro del vento di Los Angeles sembrava così deliziosa che non mi accorsi di aver tenuto gli occhi chiusi mentre inspiravo e quando gli aprì, osservai per la prima volta con gli occhi spalancati le palme di California.
Los Angeles non era la mia città dei sogni dovevo ammetterlo a cuore sincero, ma ero in America e quello sì che era il mio paese dei sogni, non riuscivo ancora a crederci, sembrava tutto così innaturale, così bello, così reale, così vivo.
Avevo la pelle d'oca, sentivo ogni singola cellula del mio cuore vibrare dentro il mio corpo teso, il cuore si stava sforzando di tenere a bada i suoi battiti a mille ma stava fallendo miseramente peggiorando il tutto e facendo balzare il mio petto a un ritmo irregolare mentre il mio sangue si stava raffreddando nonostante il caldo soffocante fuori.
Dylan fu l'unico ad accorgersi della mia contentezza in quanto sedeva accanto a me in macchina, infatti mi accarezzo la schiena e quando mi voltai a guardarlo i miei occhi si posarono su un suo ampio sorriso e non potei altro che ricambiare.
Non avevo aperto bocca da quando ero entrata in auto ed essa aveva iniziato a muovere le sue ruote sulle strade scottanti di Los Angeles, avevo perso le parole alla vista smagliante di questa città, ora capivo la sua esagerazione nella bocca altrui, comprendevo la ragione per il quale tutti desideravano passare almeno un estate Californiana nella loro vita, questa città faceva sognare ad occhi aperti.
Con le palme che accompagnavano i fianchi delle strade, il mare che faceva da sfondo alla cornice colorata della città, dove l'acqua e il cielo azzurro limpido si mischiavano ed eliminavano ogni suddivisione tra di loro, i negozi affollati, le case stravaganti, i ragazzi con il sorriso stampato sul volto e il sole cocente, rendevano il tutto più magico.
Nei marciapiedi regnava la massa di persone in bermuda e shorts, qualcuno era a piedi che si godeva il caldo pomeriggio americano con il sudore che colava dalla loro fronte, qualcuno era in bici per provare sollievo con il leggero venticello che soffiava dalle onde del mare, qualcuno era su uno skate che sfrecciava veloce al lato della spiaggia per provare un po' di adrenalina, come se in questa città non bastasse mai, o semplicemente qualcuno era al volante di una macchina d'epoca che catturava l'attenzione di tutti.
Ero affascinata dalla vista così vivace e caotica della città, Sydney era immersa di varie culture e piena di identità internazionali, se si faceva un giro per il centro si poteva entrare in conoscenza di una moltitudine di etnie, ma qui a Los Angeles, erano tutti diversi o tutti uguali, non c'era una via di mezzo, o si seguiva la massa o ci si distingueva da essa, era onestamente una strana combinazione dei fatti.
Però di una cosa ero certa, Sydney era casa mia e lo sarebbe per sempre stata, alla fine dei giorni avrei ritrovato il mio rifugio nella mia vecchia e buona città, Los Angeles era invece il sinonimo di sfuggire, un modo per chiudere gli occhi e far finta che i veri ostacoli della vita non esistano, era come la fuga di una coppia di amanti, qualcosa di temporaneo e così tanto passionevole che dura qualche momento, che pone sempre la sua fine come un songo troppo bello per essere vero.

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