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Esattamente in quel momento preciso, quando stavo finalemente per dirgli come stavano veramente le cose, gli arrivò una chiamata.
Lui a sentire il cellulare vibrare, lo tirò subito fuori e rispose.
Fu così veloce da farmi capire che era urgente e non poteva non rispondere.
Si alzò e si allontanò da me per parlare con la persona che stava all'altro capo del cellulare.
Io sbuffai per il fatto che era la terza volta che cercavo di parlargli di una questione importante e tutte le volte ero stata interrotta.
Era come se il mondo non volesse che io gli dicessi che per me era un semplice e comune amico.
Mi sentivo innervosita e stanca di non riuscire a risolvere un problema velocemente.
Cameron finì di parlare e si avvicinò a me digitando qualcosa sul cellulare.
"Scusami tanto Kate, davvero, ma mia madre ha bisogno di me", mi disse guardandomi e io mi alzai in piedi.
"Tranquillo, non importa, potremo parlare più tardi. Ma va tutto bene? È successo qualcosa di grave?", chiesi preoccupata.
"No, devo solo andare a prenderla da un posto", mi rispose in modo molto ambiguo e capì che forse era meglio non fare altre domande, perciò annuì.
"Dai ti porto a casa", mi disse tirando fuori la chiave dalla macchina.
"No, se hai bisogno di andare presto da tua madre, vai pure, io posso tornare da sola", gli dissi fermandolo.
"Non importa, tanto devo comunque fare quella strada e in più non conosci questo luogo perciò diventerà difficile per te ritornare", mi rispose controllando di nuovo il cellulare.
"Sei sicuro? Non vorrei farti tardare", gli risposi insicura.
"Sì Kate non ti preoccupare", rispose alzando lo sguardo verso di me e sorridendomi leggermente.
"Ok ma lasciami in centro città che vado a salutare Emma alla libreria, così tu non devi fare la strada in più dentro al quartiere di casa mia", gli dissi guardandolo.
Lui annuì e ci avviammo verso la macchina, per poi salire e partire.
"Scusami ancora, avrei voluto ascoltarti ma è una cosa veramente importante, se non fosse stato per mia madre, non ti avrei mai lasciata senza aver sentito cosa dovevi dirmi", mi disse Cameron ad un certo punto con lo sgaurdo puntato sulla strada davanti e concentrato alla guida.
"Non importa Cameron, tua madre viene prima di qualsiasi altra cosa, tranquillo", gli risposi sorridendo.
"Se vuoi puoi dirmelo anche adesso in macchina", disse scambiando un fugace sguardo con me.
Ci pensai su un attimo e decisi che era meglio di no, stava guidando ed era meglio non fargli alterare gli emozioni durante la guida, sarebbe stato pericoloso, inoltre era già abbastanza in urgenza per sua madre e non volevo appesantirlo con la mia questione, ero sicura che non l'avrebbe presa bene e non volevo rattristarlo ora che stava andando a prendere sua madre.
"Potremo risolvere dopo questa faccenda", risposi solamente e prima che lui potesse dirmi qualcos'altro, il suo cellulare suonò di nuovo.
Rispose immediatamente e disse che stava arrivando, vidi il suo sguardo ansioso ma speravo tanto che non fosse successo qualcosa di grave.
Appena arrivammo in centro città, io scesi velocemente dalla macchina per lasciarlo andare e lui mi salutò alzando la mano, dicendomi che mi avrebbe contattata dopo, per poi sfrecciare via con l'auto.

Mi guardai intorno e mi sentì rilassata, amavo il centro città di Los Angeles, era affollata ma dava un senso di compagnia e non ti faceva sentire sola.
Era piacevole passeggiare in mezzo alle lunghe file di palme ai bordi delle strade e il leggero vento proveniente dalle onde del mare rendeva il tutto molto più soave.
Persa ad ammirare la bellezza della città degli angeli, con tutti i negozi colorati e decorati sfarzosamente, i ristoranti che erano pieni di persone in fila, gli artisti di strada che dipengevano il panorama della spiaggia e i ragazzi che giravano in skate o in bici; non mi accorsi di trovarmi davanti all'entrata della libreria comunale della città.
Entrai dentro e cercai con lo sguardo una riccia castana che stava con il naso dentro ai libri.
Appena l'accorsi da lontano a mettere in ordine lo scaffale davanti a me, sorrisi perché sembrava buffa con tutto quell'ammasso di capelli indomabili che le coprivano metà del volto e la bassa statura che le impediva di raggiungere lo scaffale in alto e posare i libri.
Mi avvicinai a lei e le picchiettai con la mano sulla spalla, lei sobbalzò e si girò immediatamente verso di me.
"Oddio Kate, mi hai fatto prendere un colpo!", mi disse posando una mano sul cuore e sospirando, facendomi ridacchiare.
"Che ci fai qui?", mi chiese poi.
"Ti avevo detto che venivo a salutarti", le dissi per poi spostarmi ad analizzare i libri che stavano in quel scaffale.
"Sì ma non pensavo che lo facessi veramente", mi disse tornando a rimettere a posto i libri.
"Come mai?", chiesi tirando fuori un libro che aveva attirato la mia attenzione dallo scaffale.
"Non so, forse perché non sono abituata ad avere un amica", mi rispose e io la guardai abbastanza dispiaciuta.
"Beh dovresti esserlo, perché d'oggi in poi io ti torturerò ogni giorno qui, a scuola e ovunque", le dissi scherzando e alleggerendo la situazione.
"Prova a farmi fare brutte figure qui al lavoro e ti ammazzo", mi disse facendomi scoppiare dal ridere.
Emma era veramente una ragazza semplice, era acqua sapone, si vestiva senza mai lasciar trasparire le forme e tutto ciò che la rendeva viva, erano i libri e lo studio.
Era me a Sydney, rispecchiava molto la Kate di qualche mese fa, prima che tutto la mia vita cambiasse.
Ora invece ero forte e con la testa alta, avevo altri pensieri oltre la scuola e avevo iniziato ad imparare a come andare avanti da sola nonostante tutto e com'era veramente la realtà del mondo, avevo aperto finalemente gli occhi.
"Ho fame", mi lamentai quando sentì la mia pancia brontolare, in effetti non avevo mangiato nulla da quando stamattina avevo bevuto solo il succo all'arancia a casa.
"Che hai fatto tutto questo tempo? Non hai pranzato? La scuola è finita due ore fa!", mi rimproverò lei mettendo le mani sui fianchi e guardandomi severa.
"No Emma, non hai idea di quante cose sono successe in sole due ore, anzi da ricreazione in poi", le dissi e lei mi ordinò di raccontarle tutto nei minimi dettagli, così feci.
Per tutto il tempo del racconto, lei si spostò nei vari scaffali dell'enorme biblioteca per sistemare i libri e io la seguì aiutandola di tanto in tanto.
Mi ascoltava attentamente e ogni tanto cambiava espressioni sul volto, oppure ridacchiava o sospirava.
Quando finì, eravamo praticamente nella zona studi della biblioteca e lei si fermò a guardarmi.
"Ti lascio per qualche ora e ti fai mettere in punizione, quasi baci Antoine e fai perdere la testa a mio fratello", mi disse ridacchiando.
Io sospirai e alzai le spalle come se combinassi solo guai in sua assenza.
"Comunque, devo ammetterlo, è stata una giornata molto pesante per te", mi disse ritornando a lavorare.
"Grazie al cielo almeno tu mi capisci", le dissi sedendomi su uno dei tavoli lì presenti.
"Ovvio, siamo molto simili alla fine", mi rispose sorridendo e io le ricambiai il sorriso.
"Sai cosa? Anch'io vorrei lavorare qui in biblioteca come te, adoro i libri e lo sai bene. In più lo facevo già a Sydney", le dissi guardandola passare da uno scaffale all'altro.
"Potrei chiedere alla responsabile se ha un posto libero, sarebbe bello passare ogni pomeriggio qui insieme in mezzo ai nostri amici libri, sarebbe come il nostro mondo lontanto da tutti i problemi", mi disse girandosi e guardandomi superanziosa.
Mi alzai e mi avvicinai a lei per poi circondarle la spalla con un braccio.
"Hai ragione", le rispsoi sorridendo.
Dopodicchè parlammo ancora per un bel pò finché la fame non mi sfinì, affaticandomi anche a farmi rimanere in piedi.
"Kate dovresti tornare a casa e mangiare qualcosa, sennò ti ammali", mi disse Emma che nel frattempo aveva finito di mettere in ordine tutti i libri e ora stava sul bancone di entrata per timbrare i libri che le persone prendevano in prestito o restituivano.
"Già, ma prima di andare, volevo chiederti una cosa", le dissi e lei annuì guardandomi.
"Cameron è andato velocemente da vostra madre, tu sai se è successo qualcosa di grave?", chiesi appoggiandomi al bancone davanti a lei e guardandola.
"No, niente di particolare che io sappia, forse la macchina della mamma si è rotta e non riusciva a tornare a casa", mi rispose poco convinta e timbrando un libro.
Io annuì e decisi di non portare avanti la conversazione perché la fame mi stava bloccando anche le parole.
"Ora vado perché sto morendo di fame Emma, ci vediamo domani a scuola", le dissi e l'abbracciai.
"Se hai bisogno di me, chiamami", disse lei una volta scattatosi da me.
Io annuì e sorrisi, lei mi ricambiò il sorriso e tornò a lavorare mentre io uscì dalla biblioteca.

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