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"Allora ragazzi, di che state parlando?", chiese questa volta papà guardandoci preoccupato.
Io scambiai uno sguardo con Antoine poi Emma e Dylan, loro erano allarmati e agitati esattamente come me ma solo Antoine pareva completamente calmo e sembrava avere tutto sotto controllo, infatti intervenne subito.
"Stavamo parlando di una volta quando Kate era inciampata dalle scale a casa e si era fatta male, da quel giorno non riesco a stare tranquillo e continuo a pensare che lei potrebbe inciamparsi ovunque e farsi male", disse Antoine in modo pacato e guardando gli adulti in modo estremamente sereno.
"Già... sapete com'è sbadata Kate", aggiunse Dylan ridendo nervosamente, accarezzandosi la nuca e guardando stranito Antoine il quale sorrideva tranquillo.
"Oh certo! Noi avevamo pensato a qualcosa di più grave! Fortunatamente si tratta di solo questo", disse la mamma sospirando e sorridendo mentre il papà annuiva anche lui sorridendo.
Io alzai le soppraciglia sorpresa, Antoine era riuscito a mentire perfettamente mantenendo la calma, era veramente una cosa incredibile e la cosa più sorprendere era che era stato molto convincente, tanto da farcela con i genitori che riuscivano a fiatare la menzogna da lontano.
"Ti preoccupi di così poco per la dolce Kate, devi amarla davvero tanto Antoine eh?", chiese la zia Dallas sussurrando ad Antoine sorridendo maliziosamente e avvicinandosi a lui ma io sentì e distolsi lo sguardo da lui.
Però con la coda dell'occhio lo notai arrossire e abbassare lo sguardo scuotendo la testa e con uno sorriso ebete stampato sul volto, il che mi fece tanta tenerezza e sorrisi pure io.
Dopodicchè gli adulti ci lasciarono da soli per andare a preparare la cena e Antoine si sedette accanto a me sul divano per poi tirarmi verso di lui prendendomi per il braccio e cingermi a lui circondando la mano attorno alla mia vita mentre io apoggiai la testa sul suo petto finalmente potendo finalmente riposare dopo una giornata estenuante sia a livello fisico che mentale.
"Anto come hai fatto a essere così calmo prima?", chiese Dylan curioso.
"Anni di esperienza in Accademia", rispose lui facendo spallucce.
"Dicevi le bugie ai tuoi comandanti?", chiese Cameron anche lui curioso di sapere cosa combinava il misterioso studente militare in Accademia di cui tutti ne parlavano.
"Beh non sempre, solo quando rientravo tardi in Accademia e violavo il coprifuoco", rispose lui e io sorrisi ricordandomi delle volte che lo aveva fatto per me.
"Ma avete una speciale lezione che vi insegna tipo a mentire giusto?", chiese Emma e Antoine ridacchiò.
"No non ci insegnano a mentire, è vietato farlo, impariamo solo a gestire ogni tipo di situazione che ci viene posto davanti senza andare in panico e rimanere con la testa fredda nonostante tutto", rispose.
"Che figata, e che altro fate lì dentro?", chiese Dylan e io alzai lo sguardo su di lui sistemandomi bene sul divano, ero curiosa di sapere anch'io, infondo ero la sua fan numero uno.
"Vuoi sapere dell'Accademia o del tirocinio alla base a Los Angeles?", chiese lanciandomi uno sguardo e notando il mio interesse all'argomento.
"Entrambe", risposero Cameron ed Emma contemporaneamente al posto di Dylan che rimase a bocca aperta perché lo avevano tagliato di mezzo e io ridacchiai.
"Ok allora in Accademia come sapete abbiamo delle regole ferree, dobbiamo svegliarci ogni mattina alle 5, poi c'è l'alza bandiera, la corsa mattutina, doccia, colazione e lezione, poi abbiamo pranzo, sport e altre attività riguardo alla nostra area di specializzazione il pomeriggio, nel mio caso gli aerei e poi prima di cena abbiano ore libere per lo studio e dopo cena ora di svago per poi il richiamo per andare a letto, e così via ogni giorno tranne la Domenica che è l'unica giornata di riposo", spiegò.
"Misericcia, è tanto tosta", commentò Cameron che a quanto avevo capito non si era mai interessato alla vita militare prima d'ora e mi faceva più che piacere.
"Diciamo di sì ma dopo un po' ci si abitua. Per quanto riguarda il tirocinio è la stessa identica cosa solo che facciamo più pratica e abbiamo molte ore di volo e azione in campo, ad esempio andare per la città e fare alcuni interventi speciali", disse.
"Perché hai scelto l'aeronautica?", chiese Emma guardandolo con tutta la stima nei suoi confronti.
"È difficile da spiegare, diciamo che mi piace l'idea di volare e stare lì su a guardare tutto il bellissimo panorama sottostante mentre sorpasso le nuvole e sento quella libertà che solo volando si prova", rispose e lo vidi faticare con le parole anche se aveva gli occhi sognanti e pieni di vita, parlare del suo lavoro gli piaceva perché amava volare e lo si leggeva nello sguardo, io gli strinsi la mano con la mia e ci scambiammo uno sguardo sorridendo.
"Davvero bello, anch'io vorrei poter volare", disse Dylan sospirando.
"Fatti quattro anni di Accademia militare a Colorado", rispose Antoine.
"No no ti prego, non potrei mai subire tutte quelle pene e torture di svegliarmi presto o non poter uscire tranne la Domenica", si difese subito Dylan arrendendosi e alzando le mani in segno di resa.
"Ma infatti come fai? Cioè dopo un po' non stanca?", chiese Emma.
"Come detto ci si abitua ma ora so che sarà molto difficile", rispose Antoine e lo vidi abbassare lo sgaurdo.
"Non riuscirai a vedere tanto Kate, è per quello giusto?", chiese Cameron dispiaciuto.
Antoine alzò lo sguardo di scatto verso Cameron sorpreso dalla sua affermazione e lo sentì irrigidirsi accanto a me mentre il suo cuore batteva forte e faceva molto chiasso, però dopo qualche secondo si riprese e annuì molto meccanicamente per poi scambiare uno fugace sguardo con Dylan che sembrò pietrificarsi sul posto all'istante.
Io feci per chiedergli cosa avevano loro due e perché avevano avuto quella strana reazione all'affermazione di Cameron che i genitori ci chiamarono per metterci a tavola ponendo fine alla nostra conversazione.
Antoine si allontanò da me velocemente e senza nemmeno avermi guardata per un secondo si diresse verso la cucina accompagnato da Dylan il quale però scambiò uno sguardo con me che però non riuscì a deciferare.
Questi strani sbalzi d'umore e segni di bipolarismo di Antoine mi stavano mandando il cervello in tilt e non capivo perché si stava comportando così stranamente ultimamente, sapevo che c'era qualcosa che lo stava preoccupando e che io c'entravo in qualche maniera, era anche vero che gli avevo promesso di non fare domande a riguardo finché lui non sarebbe stato pronto di dirmelo di spontanea volontà ma non mi andava bene che cambiasse il suo stato emotivo da un momento all'altro nel giro di pochi minuti, dovevo risolvere questa faccenda con lui prima che diventasse troppo tardi e io perdessi la pazienza.
Sospirai e mi alzai dal divano per andare in cucina dove notai che il posto accanto a lui era vuoto e mi accomodai lì mentre il suo sgaurdo era perso nel vuoto davanti a lui, solo quando notò la mia presenza accanto a lui, mi sorrise lievemente, perfetto, ora si ricorda della mia esistenza, qualche secondo fa sembrava che io fossi un fantasma per lui.
Sbuffai frustrata e guardai la mamma che metteva il cibo in tavola, notando che anch'io non ero nelle mie situazioni migliori, anch'io ultimamente stavo avendo parecchi sbalzi d'umore e non riuscivo più a controllare le mie emozioni, era come loro mi stessero controllando e mi sentivo al limite dell'esaurimento totale, forse il rapimento e tutto ciò a seguire aveva indeboltio sia me che Antoine e anche se sembravamo tranquilli fuori, dentro avevamo un temporale in corso che nessuno dei due voleva mostrare per il bene degli altri, solo che non sapevano fino a che avremo durato così se non ne avessimo parlato; infatti dopo quello che era successo non avevamo più riportato la questione a galla confessando i nostri sentimenti a riguardo e come stavamo veramente ed era arrivato il momento di farlo, magari aprendo il nostro cuore a questa ondata che ci aveva sommerso avrebbe fatto bene a entrambi.
Chiusi gli occhi per qualche nanosecondo e presi un bel respiro per calmarmi dopodicchè guardai Antoine sorridendo e apoggiai la mia mano sopra la sua sotto il tavolo mentre lui senza aggiungere altro incrociò le nostre mani premendo forte e facendomi capire che oltre tutto c'eravamo l'uno per l'altro, per sempre.
Poi iniziammo a cenare e gli adulti iniziarono a chiacchierare con noi riguardo ai college che vorremo frequentare anno prossimo, Emma aveva ancora un anno da completare prima di andare al college ma aveva le idee chiare su cosa voleva fare e voleva a tutti i costi entrare a Harvard a studiare giurisprudenza e noi tutti eravamo sicuri che avrebbe potuto entrarci direttamente ora per quanto brillante fosse mentre Cameron voleva prendersi un anno sabbatico per riposarsi dopo anni di scuola stancanti anche se il massimo che lui aveva fatto era mostrarsi poplare davanti alle ragazze, però il padre voleva che il figlio entrasse a Yale per economia, il che era difficile per lui con i voti che si ritrovava ad avere ma ero sicura che se si mettesse per bene a studiare ce l'avrebbe fatta tranquillamente a recuperare nel secondo semestre.
Per quanto riguardava me, gli avevo detto che avevo fatto il famoso colloquio speciale con la Stranford, al nome del quale io e Cameron ci eravamo scambiati uno sgaurdo sorridendo che non era passato inosservato agli altri, sopratutto ad Antoine, e poi avevo aggiunto che volevo provare anch'io per Harvard sempre per la facoltà di Medicina anche se mi pareva alquanto improbabile entrarci, ma tutti mi avevano sostenuto e detto che potevo farcela senza problemi, Antoine ne era il più sicuro tra tutti e mi apoggiava appieno.
Solo quando toccò a Dylan di parlare di college, che era rimasto zitto per l'intera conversazione, disse che non aveva ancora scelto nulla e non aggiunse altro mostrando chiaro non volere di parlarne e nessuno insistette, infatti rimase cupo per l'intera cena, il che era un evento raro per lui siccome tendeva sempre ad essere l'anima delle cene.
Io sapevo perfettamente perché si era raffreddato così tanto, lui aveva il sogno di andare in in college americano assieme a me e di divertirsi stando ai dormitori e andare alle feste, mentre realizzava il suo sogno di diventare un famoso ingegnere informatico che creava nuovi algoritmi e software, solo che questo sogno si era realizzato in parte, ovvero il mio.
Io lo stavo guardando dall'altro capo del tavolo siccome eravamo seduti distanti per incrociare il suo sgaurdo e cercare di tranquillizzarlo siccome lo vedevo abbastanza testo e irritato però lui tenne il capo inchinato sul tavolo e ad un certo punto non riuscendo più a resistere e stare seduto lì per quando si sentiva pressato, sì alzò di scatto dal tavolo e chiedendo scusa si congedò da noi.
Lo vidi aprire la porta di casa e uscire a passi veloci, io non esitai un altro secondo in più e senza dare ascolto agli altri di dargli un po' di spazio, gli rincorsi dietro, lui non voleva stare da solo, voleva solo uscire da quella stanza dove i sogni di tutti si stava realizzando tranne il suo, nessuno sapeva leggere la sua mentre meglio di me e capire che emozioni gli stavano balenando dentro, io lo percepivo anche a km di distanza.
"Dylan aspetta", lo chiamai da dietro e col fiatone quando lo raggiunsi sul vialetto pronto ad andarsene da solo per qualche ora chissà dove.
"Kate lasciami solo", mentì e lo capì perché non mi guardò e tenne lo sgaurdo davanti a sé.
Io mi avvicinai a lui e lo feci girare verso di me per poi prendere il suo volto fra le mie mani e far incrociare i nostri sguardi a fatica siccome lui continuava a distoglierlo, poi lo presi per braccetto e gli chiesi se aveva voglia di andare a fare un giro in macchina e lui annuì senza dire altro.
Io sorrisi e assieme a lui salì in macchina, sapevo bene che stava facendo il duro per non crollare davanti a me perché sapeva perfettamente che io non lo avrei retto e sarei caduta nella disperazione più totale sapendo di aver preso la decisione sbagliata nel rimanere a Los Angeles, lui aveva sofferto più di tutti la nostra separazione, io credevo di essere dipendente da lui ma la lontananza ci aveva fatto capire che era lui che aveva maggiormente bisogno di me accanto.
Era vero, la voglia di fare di Dylan era stimolata da me quando gli stavo dietro e continuavo a sostenerlo in ogni sua iniziativa, oppure quando gli facevo da spalla in ogni situazione che gli si presentasse davanti o quando era convinto che dopo qualche sbaglio, io ero il suo posto sicuro dove poteva rifugiarsi e sfogarsi all'infinito senza la paura di essere giudicato, la mia presenza accanto a lui era più fondamentale di quanto immaginassi e io non me ne ero resa conto.
Pensavo di essere io quella rotta che aveva bisogno di Dylan ogni secondo nella vita per essere aggiustata e non avevo capito che per tutto questo tempo mi stavo sbagliando, io trovavo sempre appoggio in lui perché lui lo trovava in me, avevo sempre pensato di essere un peso per Dylan e di annoiarlo con i miei problemi ma in realtà era lui quello che si sentiva solo senza di me e aveva bisogno di me per sentirsi vivo.
Non avevo mai capito durante le nostre lunghe chiacchierate per telefono che lui non aveva più quella vivacità nella voce o quel luccichio negli occhi che si era finalemente illuminato alla mia vista qualche giorno fa, non mi era mai passato per la mente che la persona più importante della mia vita si stesse lentamente spegnendo per colpa mia.
Dovevo rimediare in qualsiasi modo possibile, non potevo permettere Dylan di stare così male a causa mia, mi ero comportata da egoista e continuavo a farlo non dando alcuna minima importanza a ciò che stava distruggendo mio fratello dentro, se lui aveva fatto così sacrifici per me, io dovevo assolutamente ricambiare, non ce la facevo vederlo soffrire, se lui moriva lentamente all'interno, anch'io morivo assieme a lui, noi eravamo una cosa sola e se una parte di noi cadeva, l'altra faceva fatica a stare in piedi e piano piano ogni secondo che passava, tutti e due ci facevamo male creandoci delle cicatrici invisibili ma permanenti.
"Dylan io rimango", dissi la fatidica affermazione che mi stava tormentando dentro da molto.
Lui colto di sorpresa frenò bruscamente e la macchina si spense violentemente nel bel mezzo della strada, fortunatamente era un luogo deserto ed era una sera senza macchine in giro sennò a questo punto saremo stati entrambi al pronto soccorso a combattere per rimanere in vita e se il dottore avesse detto che perché uno vivesse l'altro doveva morire allora io mi sarei offerta volontaria, lo amavo a tal punto da poterlo fare, il suo respiro era la cosa più preziosa a me in questo intero universo.
"Kate ma che diavolo stai dicendo?", mi chiese lui urlando dopo che sbattemmo contro i nostri stessi sedili per la frenata improvvisa.
"Non ritorno più a Los Angeles", risposi guardandolo e con il cuore in gola mentre la mia testa mi ripeteva la promessa che mi ero fatta prima di andare all'aeroporto a Los Angeles, avevo promesso che questo viaggio sarebbe stato come una prova per me per valutare la mia decisione e le mie emozioni e che sarei ritornata a casa in America ma tante cose erano cambiate e mi sentivo di nuovo in confusione totale, sopratutto quando andava di mezzo Dylan e il suo pessimo stato salutare.
"Sei impazzita per caso? Kate tu non puoi stare qui. E perché mai dovresti farlo?", chiese lui frustrato e sempre con la voce alta passandosi nervosamente la mano tra i capelli.
"Entrambi soffriamo e ci fa male la lontananza. Se tu non puoi trasferirti con me a Los Angeles allora io ritorno qui", risposi con la voce e il corpo tremante, era la prima volta in vita mia che alzava la voce con me e ciò mi spaventava, stava veramente male.
"Per favore non fare cazzate Kate, non ne vale la pena. E in più tu due giorni fa mi hai dato la lezione di vita dicendo che prima o poi le nostre strade si separeranno, non potremo mai stare insieme per sempre, tu hai una vita senza di me come pure io", disse ora calmandosi leggermente ma mi sbagliai quando lo vidi cercare di accendere la macchina ripetutamente ma senza successo, infatti posai la mano sulla sua con la quale stava cercando di accedere la macchina e gli dissi di lasciare perdere per non rompere definitivamente la macchina e peggiorare la situazione.
"Anche questa stupida macchina doveva rompersi ora, cazzo!", urlò di nuovo tirando via la sua mano dalla mia e colpendo rumorosamente il volante davanti a lui.
Io sobbalzai per il colpo e lo guardai con gli occhi umidi, si stava comportando in una maniera che non avevo mai visto in tutti questi anni passati con lui, non era lui, non era mio fratello Dylan, era nella sua versione più arrabbiata e nervosa, quella che era difficile da gestire e che gli faceva perdere ogni minimo senso di ragione.
Era esattamente questo che avevo sognato quando ero a Los Angeles, l'incubo che avevo visto e che mi aveva portato a dare il mio primo bacio riguardava Dylan ma non avevo detto a nessuno di cosa si trattava:  avevo visto mio fratello al culmine di questa sua rabbia ingestibile che lo aveva portato a fare del male a sé stesso volontariamente, non riuscendo a controllare l'ira per non fare danni agli altri o combinare qualche guaio pericoloso, si era fatto del male al proprio corpo così da subire tutte le pene su di lui senza dar soffrire qualcun'altro.
Dylan soffriva del disturbo esplosivo intermittente, era un disturbo del comportamento caratterizzato da espressioni estreme di rabbia, spesso incontrollabili, che erano sproporzionate rispetto alla situazione, io non l'avevo mai visto con i miei occhi prima d'ora, i genitori me ne avevano parlato per la prima volta quando avevo dieci anni e stavo iniziando a capire alcune cose così da essere sempre all'allerta quando lui avesse uno dei suoi attacchi a saperlo gestire, controllare e calmare; prima di quel momento non mi avevano detto niente ma avevo scoperto che da piccolo era peggio e delle volte doveva rimanere rinchiuso in camera sua con la psicologa finché non si calmasse, ecco perché dei giorni io giocavo da sola e mamma e papà mi dicevano che lui era ammalato e non poteva uscire dalla stanza ma non capivo bene a quell'età, poi crescendo Dylan era riuscito a controllare questo suo disturbo ed era svanito quasi del tutto grazie alle numerose sedute con lo psicologo e innumerevoli terapie, attività e medicinali calmanti, infatti tutto ciò accadeva alla mia insaputa così io non mi sarei spaventata troppo per il mio affezionato fratello e non avevo mai assistito a uno dei suoi crolli e scatto d'ira, prima d'ora.
"Dylan cerca di calmarti per favore", gli dissi allungando leggermente la mano per accarezzargli la schiena ma mi fermai perché non avevo idea di come avrebbe reagito.
Dylan non sembrava essere in sé in quel momento, era sudato, rosso in volto, continuava a passarsi la mano tra i capelli agitato, gli occhi spalancati, il respiro pesante e affannato e il cuore che batteva forte, lo capì per quanto la parte del suo petto destro stesse vibrando velocemente e ripetutamente senza sosta, esattamente come il mio.
Non sapevo che fare e mi sentivo così inutile, incapace e indesiderata che mi venne da piangere ma riuscì a controllarmi e solo qualche goccia ribelle scese dai miei occhi, cercai di ricompormi e farmi forte e coraggiosa per lui, vedendolo in questo stato mi stava uccidendo dentro e mi stava facendo più male di una lama infilata dritto nel petto, perciò scossi la testa e sospirai chiudendo gli occhi per poi riaprirgli e vederlo scendere dalla macchina.
Scesi pure io velocemente e lo raggiunsi vicino al muretto lungo la strada dove si sedette e prese dei bei lunghi respiri e chiuse gli occhi che erano diventati rossi per aver trattenuto tutte le lacrime che gli premevano di uscire mentre aveva teneva i pugni serrati forte, avevo paura che quasi si tagliasse con le unghie così tanto inchiodate nei palmi delle mani, però lo stavano aiutando a calmare e io feci la cosa che ritenevo più opportuna di tutti: lo abbracciai.
Lui rimase immobile all'inizio mentre io tremavo ansiosa, poi dopo un po' però si lasciò andare con un sospiro rumoroso e ricambiò l'abbraccio appoggiando la testa sulla mia spalla e sentì la mia maglietta bagnarsi leggermente, il che mi spezzò la pietra chiamata cuore che mi portavo dentro in piccoli pezzi.
"Scusami", si scusò lui per il suo comportamento con la voce spezzata e tra i singhiozzi mentre io gli dicevo di stare tranquillo.
Non riuscivo a vedere mio fratello in questo stato e ora avendo visto cosa diventa quando arriva al culmine della frustrazione, per niente al mondo lo avrei abbandonato un altra volta, non mi importava di nulla, né di Los Angeles, né di Harvad, né dei miei veri genitori perché se li avessi spiegato bene la questione di Dylan mi avrebbero lasciato liberamente ritornare a Syndey, sapevano quanto ci tenevo a lui e per loro la cosa più importante era la mia felicità e spensieratezza, l'unico ostacolo che mi fermava ancora era Antoine.
Avevo scelto Antoine due volte a Dylan e questa volta la decisione era più difficile che mai, entrambi erano essenziali per me, non sarei riuscita a sopravvivere né senza uno né senza l'altro, mi sentivo veramente senza speranza e via d'uscita, mi sembrava di essere entrata in una galleria buia e infinita dove la luce sembrava ancora un puntino lontanissimo.
Mi staccai da Dylan e lo guardai mentre lui si alzò e iniziò a camminare un po' per prendere una boccata d'aria e ritornare in sé stesso appieno, mentre seguivo ogni suo passo dentro il mio cuore sentivo che la decisione era già stata presa ma che non andava ancora d'accordo con la testa, continuai a fissare mio fratello, l'unico che in tutti questi anni non aveva lasciato il mio fianco a nessun costo nemmeno con la distanza e sentì la mia testa lentamente appoggiare la scelta fatta dal cuore anche se malavoglia, però non poteva farci nulla, il cuore aveva un potere al quale la testa non riusciva a non sottomettersi.
Dopo poco Dylan si calmò del tutto e ritornò come prima per poi sedersi di nuovo accanto a me e guardarmi con i zigomi arrossati, io gli sorrisi lievemente e posai una mano sopra la sua mentre lui sospirò abbassando lo sguardo e scosse la testa, "Non dovevo arrabbiarmi così tanto con te, scusami ancora Kate", disse portando le mani sul volto e asciugandosi le lacrime ormai asciutte con il vento.
"Dylan lo sai che con me puoi comportarti come vuoi, non mi ferirai mai", dissi io cercando il suo sguardo che arrivò subito dopo con un lieve e stanco sorriso.
"Prima quando hai detto che rimarrai, non lo intendevi veramente giusto?", chiese corrugando la fronte e io mi presi qualche minuto per capire se sarebbe stato opportuno in questo momento dirgli cosa avevo deciso, non era in uno stato stabile mentalmente al momento e sarebbe stato meglio non peggiorare la situazione, volevo solo che per il momento stesse rilassato.
"Tu cosa vuoi? Che io rimanessi o no?", chiesi, volevo sapere la sua opinione anche se conoscevo già la risposta, ero sicura che mi avrebbe detto di ritornare a Los Angeles, però volevo comunque un suo parere per convalidare maggiormente la mia scelta.
Lui non rispose e rimase a fissarmi a lungo tanto che sentivo il suo sguardo penetrarmi fino ad arrivare al cuore mentre sentivo i brividi lungo il corpo e dovetti distogliere gli occhi dai suoi, era la prima volta che mi guardava così intensamente e mi sentivo molto in soggezione, sapevo che era mio fratello ma non riuscivo a reggere quel suo sguardo così profondo e pieno di emozioni e sentimenti nei miei confronti.
La parola che mi disse dopo, cambiò interamente la rotta della mia vita e mi portò in ballo a uno dei momenti più cruciali dei miei diciotto anni: "Rimani", disse Dylan.

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