Capitolo 29

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Skyler

Ho passato l'intera notte a guardarlo dormire. All'inizio mi giravo e rigiravo nel letto cercando di prendere sonno; ho persino iniziato a contare le pecore, come quando ero piccola, ma arrivata a 3150 ci ho rinunciato e quindi ho provato a guardare un po di televisione.

Dicono che concili il sonno, bè, col cavolo, ero più sveglia di prima. Quindi mi sono messa a sedere sul letto abbracciata alle mie ginocchia e ho posato il mio sguardo su di lui.

Solo cinque minuti. Poi altri cinque, dieci, venti e senza renderme conto era già arrivato giorno. Sono riuscita a non pensare a Nick per quasi cinque ore. Pazzesco!

Devo dare il merito all'uomo che dorme profondamente nella mia stanza o al mio subconscio, proprio come direbbe lui, che per una volta ha deciso di liberarmi da tutti i miei demoni?

Ho bisogno di una doccia fredda.

Scendo dal letto e in punta di piedi avanzo verso il bagno. Trattengo addirittura il fiato, nemmeno fossi una ladra. Devo sembrare proprio un'idiota. Non appena chiudo la porta del bagno butto fuori l'aria è respiro a pieni polmoni.

Confermo: sono un'idiota. La mia immagine riflessa allo specchio un po mi spaventa: sono pallida, il viso è sciupato e sporco di mascara, gli occhi sono gonfi e come se non bastasse ho due orribili occhiaie scure e profonde.
"Dove hai nascosto la vera Skyler?"

Resto sotto la doccia una buona mezz'ora con l'illusione che un pò d'acqua basti per cancellare dal mio corpo i segni inflitti da quello che un tempo avrei chiamato amore.

Solo dopo essermi avvolta nell'asciugamano mi rendo conto di non aver preso un cambio dal trolley. "Merda!" Impreco contro me stessa. Apro la porta pian piano, quasi a rallentatore, ed esco ancora grondante d'acqua.

Lui è ancora lì, ma ora è sveglio e mi sta fissando come se dinanzi a lui ci fosse una Venere.
"Scusa, non volevo svegliarti." E mentre lo dico sento le mie guance bruciare.

"Sono sveglio da un po. Dormire sulla poltrona non è stata poi una grande idea. Sono a pezzi." risponde, mentre con le mani massaggia collo e spalle.

"Non hai voluto ascoltarmi Dylan. Ti avevo detto di tornare pure in camera tua, ma tu hai insistito e questo è il risultato." Forse ho esagerato. "Mi dispiace. So che sei rimasto perché ti sentivi in colpa per quello che è successo ieri sera, ma tu di colpe non ne hai. É la mia sfortuna, che come al solito non mi abbandona mai." Alzo le spalle. "Evidentemente le starò simpatica."

Prendo il trolley, che ovviamente se ne sta lì, in piedi, proprio al suo fianco e lo appoggio sul letto. "Ma non potevano mettere delle tende bianche anziché blu? È giorno e non si vede nulla!" Esclamo.

So che mi sta guardando, sento i suoi occhi fissi su di me, o meglio, su tutto il mio di dietro. Che situazione del cavolo.

"Hai mai desiderato qualcosa da matti pur sapendo che poi te ne saresti pentita?"

Che cos'ha detto?

Alzo la testa dal trolley e guardo dritta davanti a me. Le mie mani iniziano a sudare e le goccioline di acqua che scorrono lungo il mio corpo da fredde sono diventate piccole scie incandescenti.

"Che hai detto?" chiedo, nel caso avessi capito male. "Ho detto", si alza dalla poltrona, "Hai mai desiderato qualcosa da matti pur sapendo che poi te ne saresti pentita?"

È dietro di me, esattamente come ieri sera, quando gli ho posto la stessa identica domanda. Non chiedetemi da dove saltasse fuori, non ne lo so neppure io. Sarà stata la situazione, il clima che si era creato o più semplicemente il contatto della sua mano sulla mia pelle.

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