I. - L'exhibition

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L'SV si fermò con un rumore quasi impercettibile, puntuale come sempre. Qualche secondo dopo le porte automatiche si aprirono e scesi in fretta dal vagone soffocante. I superveloci erano treni che passavano ogni dieci minuti, ma non c'era modo che salisse meno gente a bordo negli orari di punta.

Attraversai il parcheggio dirigendomi verso l'ingresso. Era una calda e soleggiata giornata di inizio Ottobre: lo stridio degli uccelli si mischiava alle voci di chi aspettava in fila per il biglietto, i pini facevano ombra sul lungo viale ondeggiando lievemente sullo sfondo di un azzurro accecante.

Passai la tessera davanti al sensore e camminai per qualche metro fino a raggiungere il muro di recinzione. Proprio lì la fenice dalle ali spiegate era circondata da un'aura luminosa. Ero tornata.

Non erano passate neanche due settimane, di certo la scena non poteva dirsi commovente, eppure mi sentii lo stesso sopraffatta da un brivido di emozione e disagio: entrare in quel posto significava essere sempre sotto esame, anche se di fatto nessuno sembrava essersi accorto della mia presenza. Quello non era un giorno come gli altri.

In un punto imprecisato ai confini della foresta di Verdiana, circondata da alberi possenti e immersa in colline di erba perfettamente tagliata, sorgevano i trentasette campi da tennis in cemento azzurro della Fenice. Ad intervalli regolari si ergevano le sue strutture bianche e splendenti, circondate da un reticolo di stradine lastricate e ben pulite. Sulle colline a destra gruppi di fotografi e reporter preparavano l'attrezzatura; a sinistra, intorno alla Casa, un mare di gente estremamente elegante ingannava l'attesa prima di dirigersi verso il Nido. Qualcuno cercava sollievo sotto l'ombra delle palme, qualcun altro sorseggiava un drink guardando lo schermo incastonato in alto, sulla colossale struttura. La clubhouse aveva una forma sinuosa, circondata da alte vetrate al piano terra e da una serie interminabile di terrazze ornamentali ai piani superiori. Il suo interno era sempre colmo di gente: allievi e allenatori, visitatori e soprattutto dirigenti. Trascorrevano le loro giornate rinchiusi nei loro eleganti uffici, guardando in lontananza i campi, discutendo con i migliori sponsor e agenti. La clubhouse, o la Casa come la chiamavano tutti, era il cuore dell'accademia. Come accadeva sempre in quelle giornate raggiunsi il cardo e mi infilai nella prima stradina disponibile, in modo da evitare la folla e guardandomi bene dall'inciampare o dal travolgere qualcuno con il borsone.

- Psss -

Mi girai, ma non sembrava esserci nessuno. Ripresi a camminare, raggiungendo la fine del vialetto.

- Beca! -

Giulia spuntò da un cespuglio ridacchiando. Aveva i capelli biondi legati in una coda alta e un fermaglio luminoso che spuntava tra i ciuffi sottili, un leggero filo di trucco sul viso tondo e sorridente. Sotto l'inconfondibile giacca nera spuntava un vestitino rosso e bianco, ovviamente griffato, che metteva in risalto il fisico muscoloso.

- Ehi, che ci fai qui? - chiesi abbassando la voce, quasi istintivamente. Ero sorpresa di vederla lì.

- Riscaldamento! - indicò gli auricolari dai quali sfuggiva della musica, continuando a saltellare.

- SS? - Feci cenno di sì e mi incamminai con lei.

- Strano vederti qui, immaginavo vi tenessero segregati nel castello. Non vi si vede molto in giro - risposi ridendo.

- E' proprio per questo che sono qui. Ho bisogno di un minuto da sola, prima che gli avvoltoi mi prendano in ostaggio! -

Non risposi, e lei prese a fissarmi con i vivaci occhi azzurri. Poi alzò il suo sopracciglio, come faceva sempre.

- Oggi c'è l'exhibition - precisò.

- Sì, me ne ero quasi dimenticata. Ma per fortuna la Fenice sa esattamente come ricordarmelo -

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora