XXXVI. - Le parole non dette

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Quando il sole era ormai calato sotto la perenne coltre di nuvole e i fari, come fiammiferi, avevano cominciato ad accendersi nel buio, era arrivato per me il momento di entrare in campo per sciogliere i muscoli dopo quella partita deludente. 

Con Riccardo ancora in campo con Yang, Orlando e Claudia ancora alle prese con il torneo non mi restava che dividere il solitario campo 15 con Hugo.

Hugo stava zitto, con quella montagna persistente di capelli che gli copriva gli occhi tenuta su da una bandana a fiori. Sembrava sempre sovrappensiero, imperscrutabile.

Eppure, c'era qualcosa che di lui mi incuriosiva. Alla fine della gara contro Alessandro, Hugo aveva deciso di schierarsi dalla mia parte davanti a tutto il gruppo.

Non era normale, non era ovvio. Se l'aveva fatto c'era un motivo e il mio timore era proprio quello: di piacergli, di avere un altro motivo per scatenare le ire di Noemi su di me.

- Ehi! Calma! – urlò il ragazzo dopo l'ennesimo diritto finito a un passo dalla riga di fondocampo. – E' un palleggio di riscaldamento! –

- Scusa, hai ragione. Pausa? –

Lui fece segno di sì, poi salutò qualcuno dietro di me con un cenno.

Cresci avanzò verso di noi. La bocca serrata in una linea sottile, la barba sempre rasata perfettamente, ma la pelle leggermente arrossata per il freddo. Allentò la sciarpa di lana che portava ben avvolta intorno al collo.

Solo all'ultimo secondo vidi che dietro di lui c'era Riccardo. I capelli scompigliati dal vento e gli occhi limpidi. Non mi aspettavo che ci fosse anche lui, era ancora in gioco. E Cresci era giunto da noi per una mansione ben precisa: il discorso dei perdenti.

Mentre il temporale infuriava a suon di lampi e fulmini, la sua voce rimbombava nel campo coperto.

Dopo il discorso motivante per Hugo, passò a me. Ero convinta, per una volta, di poter essere fiera di ciò che avevo conquistato. Eppure le parole del mio allenatore furono ancora una volta molto dure, e davanti a Riccardo volevo solo scomparire.

- Hai sprecato un'enorme occasione, e non so se ne avrai altre così. Hai buttato all'aria quel poco di lavoro che eri riuscita a fare, con un gioco ridicolo. Comincio ad avere seri dubbi sul fatto che tu sia degna di essere qui. Dovresti farti un favore e guardarti con un po' più di onestà, Capuano –

Levò i tacchi subito dopo. I ragazzi entrarono in campo. Una volta chiusa la porta del campo coperto presi la racchetta e la scagliai a terra, provocando un rumore assordante. Ero furiosa.

- Lo odio! – urlai con tutte le mie forze.

Piombò il silenzio. Riccardo e Hugo mi fissarono. Rimasi immobile anche io, stupita io stessa di quella reazione. Poi mi diressi verso la racchetta e la raccolsi silenziosamente, per poi andare a sedermi sulla panchina.

Era il mio primo torneo, avevo dato il meglio di me, e lui non aveva sprecato una parola di più. Sentivo la rabbia ribollire nelle vene, ma allo stesso tempo sapevo che rimanendo su quella panchina gliel'avrei data vinta. Rientrai in campo, posizionandomi accanto ad Hugo.

Mi fece bene. Giocare con Riccardo e Hugo cancellò all'istante tutta l'amarezza che avevo provato poco prima con Cresci. Avevo sognato quel momento tante volte, e adesso io e Riccardo eravamo una contro l'altro: non riuscivo a non pensare a lui e a dare il meglio di me per non sfigurare, dopo il disastro che avevo combinato prima. 

Non avevo mai reagito così, non avevo mai scagliato a terra una racchetta dopo una sconfitta, e l'aggravante era che non l'avevo fatto neanche per la sconfitta in sé, ma per Cresci. Era la prima volta che le parole di un allenatore mi facevano più male della sconfitta stessa, e questo non mi piaceva.

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