XXXVIII. - La storia più convincente

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- Hugo? –

Feci un passo in avanti, guardandomi intorno. Se la stanza di Giulia e Claudia era spaziosa, quella di Hugo era almeno il doppio.

Grandi pareti bianche, la trasparenza della vetrata di fronte a me ridotta al massimo, tanta luce proveniente dai mille fori sul soffitto.

Per la stanza un piccolo drone stereo diffondeva la sua tipica musica, mentre attaccato alla parete della porta, al centro della stanza, un letto enorme giaceva ben fatto.

Più in fondo un armadio bianco riempiva tutta la parete e si interrompeva solo in corrispondenza della porta del bagno, tutto il resto erano ripiani pieni di libri, vecchi cd e fumetti.

Mi avvicinai a vederli, toccandone la superficie e scorrendo tra i titoli: ce n'erano a centinaia. Quando mi girai verso la parete di destra rimasi a bocca aperta.

Feci un passo in avanti, non avevo mai visto niente del genere. Uno screen la occupava tutta e trasmetteva l'immagine di una mastodontica cascata d'acqua.

Era gigantesca, e si chiudeva a semicerchio come se fosse lo sfondo di un antico anfiteatro greco. Rimasi a fissarla, i dettagli e la perfezione dell'acqua che sgorgava dalla roccia.

- Si chiama Garganta del Diablo. È in Argentina –

Urlai dallo spavento, girandomi di scatto. L'armadio era aperto.

- Hugo! Cosa cavolo ci facevi chiuso nell'armadio? –

Il mio amico non disse nulla, uscendo delicatamente dall'armadio, leggero come un essere ultraterreno.

Si sedette delicatamente ai piedi del letto, fissandomi con quell'aspetto sempre un po' perso e i suoi inquietanti occhi scuri.

Le occhiaie gli solcavano il volto ed era bianco come un lenzuolo, ma stava sicuramente meglio di come l'avevo lasciato l'ultima volta.

- Scusa, non volevo spaventarti –

Lo guardai perplessa, riguardai l'armadio, poi ancora lui. Quell'entrata in scena era stata piuttosto inaspettata e dopo la conversazione tra Giulia e Claudia che avevo origliato mi sentivo tesa come una corda di violino.

- Tranquillo, non fa niente. Tu... lo fai spesso? – chiesi in imbarazzo, indicando l'armadio.

Lui fece un sorriso, gattonando sulle coperte fino a raggiungere il cuscino e ad infilarsi nel letto.

- A volte... – rispose con un lieve sorriso – A volte mi trovo più a sicuro lì che in qualunque altro posto –

Rimasi in silenzio, a disagio come ogni volta che mi capitava di avere Hugo davanti.

Mi avvicinai, sedendomi dove prima era lui e cercando di assicurarmi sulla sua salute in fretta per sparire.

- Come stai? –

- Adesso bene. Grazie per quello che hai fatto, mi dispiace avervi spaventato –

- Non preoccuparti. L'importante è che ora tu ti sia ripreso. Tornerai a casa come ha fatto Giulia? –

Lui fece una smorfia strana.

- Per la... gastroenterite, intendo – aggiunsi. Lui scosse la testa, come se sapesse qualcosa che mi sfuggiva.

- Oh credevo lo sapessi. Non è stata Giulia ad attaccarmi il virus, ma una crostata che ho mangiato poco prima di entrare in campo. Io sono celiaco –

- Oh. No, non lo sapevo. Capisco – iniziai a giocherellare con la trapunta del letto, passando le dita sulle sue cuciture bianche e immacolate.

- Di solito i bar della Fenice lo sanno e ne preparano alcune per me. Evidentemente questa volta non hanno fatto attenzione – specificò.

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