LVIII. - Non è il posto adatto a te

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Ogni giorno sistemare i campi con Orlando si faceva sempre più pesante. Il silenzio che avevo eretto come una barriera, iniziava ad infastidire anche me. Si palesò il dubbio che Cresci non fosse di parola e decidesse di farci pulire i campi fino a quando non saremmo diventati amici.

L'atmosfera all'esterno della Fenice non era delle migliori. Un paparazzo, uno di quelli appostati ogni giorno fuori dai cancelli dell'accademia e a cui ormai ero quasi abituata, aveva notato le mie uscite dall'accademia sempre più tardi.

Diversi ragazzi del B o del C ci avevano scattato foto di me e Orlando di nascosto, le pagine di gossip ancora una volta non avevano tardato a riempirsi dei nostri nomi.

L'uscita di scena di Giulia aveva peggiorato la situazione. La storia del triangolo amoroso era ormai partita e non c'era giorno in cui non mi svegliassi con il terrore che qualcuno potesse essersi introdotto nel mio smart, a casa mia, o che avesse potuto parlare con un mio amico.

A scuola l'uscita del retro era ormai l'unico modo per sfuggire ai giornalisti. Era una situazione imbarazzante a cui non c'era rimedio e alla quale ormai cominciavo ad abituarmi. Così come ormai ero abituata alle persone in cerca di un autografo o di una foto ogni volta che uscivo con le mie amiche.

All'inizio divertente, ma poi sempre più stressante. Non potevo più uscire di casa senza che ogni dettaglio della mia vita non venisse analizzato, senza che una risata o una discussione non venisse controllata. Era come vivere in un continuo stato dall'erta che non sarebbe mai finito. 

E io ed Orlando, su quei campi freddi e deserti, facevamo sempre finta di nulla, così come per tutte le notizie che circolavano ogni giorno su di noi.

Il gruppo A era come una bolla di silenzi e bugie. Persone consapevoli di non essere normali che facevano di tutto per cercare di esserlo. Ragazzi che all'esterno sembrava vivessero una vita da sogno, da copertina, ma che in realtà non facevano altro che allenarsi incessantemente per dimostrare di essere anche bravi, oltre che belli ed interessanti.  

Stavo iniziando anche io a fingere, a cercare di essere la persona che volevano che fossi, senza rendermene conto. Ogni volta che mi truccavo prima di uscire, che impiegavo ore per decidere cosa indossare per paura di ricevere critiche sul mio abbigliamento, non facevo altro che arrendermi ai miei peggiori incubi.

- Posso farti una domanda? – chiesi all'improvviso. Orlando scattò sorpreso, lasciò lo straccio sulla panchina e aspettò che continuassi a parlare.

- Ho detto qualcosa di male l'altro giorno, parlando del torneo di calcio? – chiesi. 

Scoppiò a ridere. - Capuano, sei così divertente –

- Vedi? È per questo che non parlo! Anche quando ti chiedo qualcosa seriamente, tu non fai altro che rispondermi in maniera idiota! – ripresi a pulire il campo, muta. Lui grugnì e in silenzio completò la pulizia delle panchine e passò a raccogliere le ultime palline.

- Si, comunque. È stata un'altra delle tue uscite fuori luogo – sentii la sua voce alle spalle.

- Ho capito, Orlando. Tu non puoi parlare se non insulti qualcuno. Ma io non ci sto. Ci vediamo –

Feci per girarmi e andarmene, ma lui mi bloccò di colpo afferrandomi la giacca.

- Intendevo... che è una di quelle cose che non hanno nulla a che fare con il gruppo A. Una di quelle cose che ci fanno capire che sei ancora... una di loro -

- Credevo che voi non poteste partecipare alle attività extra –

- Mischiarci con il resto della plebe? Mai – rispose calmo e sorridente. Feci una smorfia di disgusto.

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