XLIII. - False identità

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La mattina successiva cominciò esattamente com'era finita la sera precedente, con Marzio che urlava e bussava alla porta.

La sveglia non era suonata, o forse non l'avevo sentita. Non avevo dormito bene quella notte, ma per una volta non era stata colpa di quei pensieri assillanti.

Mi era addormentata subito, ma il rumore della porta e le voci di Giulia e Claudia mi avevano svegliato nel pieno della notte e avevo fatto fatica a riaddormentarmi.

Feci colazione e riscaldamento così in fretta che quando entrai in campo non ero sicura di sapere bene cosa stessi facendo. La partita era stata lunga, avevo cominciato malissimo, ma ancora una volta ero riuscita a scamparla. 

Capii quanto fosse importante quella vittoria solo qualche minuto dopo aver alzato le braccia entusiasta verso Marzio, l'unico spettatore. Sentii un peso in meno sullo stomaco.

Era come se la vittoria avesse cancellato tutte le brutte notizie dei giorni passati, e davanti alla quarta vittoria i problemi fuori dal campo sembravano piccoli e insignificanti.

Ero lì per giocare, giocare e basta. I drammi e i pianti non erano mai stati da me, non mi riconoscevo in quelle lagne. Vincere era la cura ad ogni cosa e quella vittoria mi faceva finalmente vedere le cose da un'altra prospettiva. 

Strinsi la mano alla mia avversaria, raccolsi le palline, indossai la giacca e buttai nel borsone asciugamano, acqua e Power.

Guardai lo smart: i messaggi di complimenti erano già a migliaia, così come gli articoli in diretta. Ne lessi qualcuno e mi incamminai verso gli spogliatoi parlando con i miei e le mie amiche. 

Ero ancora allo smart quando mi resi conto di una cosa bizzarra: lo spogliatoio dei ragazzi non aveva più la porta. Davanti a me c'erano solo piastrelle bianche, panchine di legno con sopra qualche borsone e vestiti appesi.

- Quindi ora spii anche nello spogliatoio dei ragazzi? – riconobbi la sua voce e mi girai subito.

- Mi stavo solo chiedendo... – le parole uscivano alla rinfusa, mentre Riccardo mi superava ed entrava nello spogliatoio senza porta per raccogliere il borsone appoggiato al muro. Si girò, guardandomi così intensamente da costringermi ad abbassare lo sguardo. 

Tutto quello che avevo pensato in campo era già scomparso. I problemi, i sentimenti contrastanti che provavo per lui, tutta quell'assurda storia ripiombarono nella mia testa.

Per due ore ero riuscita ad allontanare i miei problemi e a pensare solo alla partita e a nient'altro. Lui mi aveva fatto tornare subito alla realtà.

Mi schiarii la voce. - Mi chiedevo come mai mancasse la porta –

- Non ne ho idea. Stamattina era già così. Cose pazze che accadono solo al Grand Prix – rispose, rivolgendomi il suo solito mezzo sorriso. Una piccola fossetta comparve al lato delle labbra.

- Com'è andata? – mi chiese, appoggiandosi sullo stipite della porta rimasto. Lo guardai un secondo in più e prima che potessi realizzarlo mi sentii in trappola. Lo stomaco si richiuse in una morsa. Non riuscivo a capire come potesse farmi quell'effetto.

– Beh? – chiese ancora.

- Sono al secondo turno. Tu giochi adesso? –

- Il prossimo incontro sul centrale. Come mai non sei uscita dalla tua stanza ieri sera? –

- Non mi andava molto – risposi in difficoltà. Certo non potevo dirgli che l'avevo fatto proprio per evitare lui e la sua ragazza. – Vi siete divertiti? –

Ecco, quello che avevo cercato di evitare fin dall'inizio, ciò per cui avevo lavorato per giorni, si stava volatilizzando in quel momento.

Una sola occhiata di Riccardo su di me era capace di farmi sentire impotente. I suoi occhi verdi mi analizzavano concentrati il volto, come se stesse cercando di studiarmi.

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora