XXVII. - Senza via di uscita

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Se c'era una certezza alla Fenice era l'assoluta impossibilità di stare fermi, o soli, alle exhibition. Alla fine tutto si riduceva ad un continuo chiacchierare e farsi conoscere e cercare di ricordare chi fossero tutte quelle persone a cui si rivolgeva la parola prima di essere travolti da un'altra ondata di interviste, firme di autografi e stratagemmi per mettersi in mostra.

La lunga giornata proseguì così, controllata a vista da Jade, indaffarata con i suoi collaboratori nel convincere gli sponsor di essere quella giusta su cui investire. Vivevo momenti traumatici, come le interviste in diretta in cui rispondevo a monosillabi sentendomi una completa idiota, e momenti più felici, come la sfida a freccette contro Hugo per Canal+. Hugo era un tipo davvero strano, con quei suoi tic, le occhiaie e l'abbigliamento eccentrico in contrasto con il suo essere sempre muto, ma mi aveva fatto un favore e avevo bisogno di ringraziarlo. Il problema era che non ci riuscivo. Mi sembrava più facile parlare, o meglio litigare con gli altri miei compagni, che avvicinarmi a lui, che fissava la gente come se potesse leggere tutti i loro pensieri.

Quello che però mi aveva davvero fatto toccare il cielo con un dito era stato l'incontro con Novak Djokovic, lo straordinario numero uno del mondo per centoventidue settimane consecutive. Ora era un imprenditore di successo e proprietario di una famosa catena di ristoranti, ma per me rimaneva comunque difficile darmi un contegno. Davanti a lui ritornai improvvisamente la piccola Beatrice di quattro anni, che si allenava tirando di dritto e di rovescio contro il muro di casa.

Avevo poi speso il resto della serata a far finta di essere interessata agli entusiasmanti discorsi dell'amico che Giulia mi aveva presentato. Le persone che fino ad allora erano state solo immagini bidimensionali erano di fronte a me e mi parlavano. Li avevo immaginati più alti, più magri, o più simpatici. Se all'inizio mi sembrava che uno screen mi avesse risucchiato al suo interno, con il passare del tempo iniziai a farci l'abitudine. In fondo erano solo persone.

E avere le attenzioni di un ragazzo più grande e che avevo visto recitare tantissime volte mi lusingava, ma non quando di fronte a me vedevo Riccardo parlare con una delle modelle che avevano sfilato, un giunco inespressivo che gli fissava in continuazione le labbra.

Parlai con molte persone quella sera, ridendo e scherzandoci, conscia del fatto che il giorno dopo non sarei stata sempre capace di distinguere nomi e facce. Cercai di dare il mio meglio, fino a quando la musica non cessò, la gente non uscì soddisfatta dal Nido, e gli ospiti del primo anello non spazzolarono interamente il buffet offerto da Novak Djokovic.

Quando tornammo finalmente negli spogliatoi, ero così stanca da non riuscire neanche a parlare. Continuavo a sentire nella testa un miscuglio infinito di voci e suoni.

Fui contenta nel constatare di non essere l'unica a sentirmi priva di forze. Io, Giulia e Claudia rimanemmo stese sui divani di velluto bianco, al centro della stanza, per un tempo che mi sembrò infinito. Dal camino un fuoco azzurrognolo illuminava metà stanza, mentre fuori era ormai buio pesto. Lo screen acceso sopra il camino mostrava la schermata principale del canale della Fenice. Noemi arrivò per ultima e senza degnarci di uno sguardo ci superò e si infilò nel suo spogliatoio.

- Beh, è arrivato il momento. Io vado ragazze. Ci vediamo domani – disse a quel punto Giulia.

Aveva ancora i capelli legati in una coda improvvisata, le scarpe da ginnastica slacciate e aveva messo su la tuta senza cambiarsi.

- Non ti fai la doccia? – chiesi, anche se immaginavo la risposta. 

- In realtà preferisco farla in camera. Lo trovo più tranquillo – rispose con un sorriso. Quando richiuse la porta la stanza tornò in silenzio.

Quando ero nel C e lei nel B avevamo zone diverse dello spogliatoio e non avrei potuto accorgermene. Avevo iniziato a farci caso durante i tornei, la vedevo andare via subito dopo aver giocato senza passare dagli spogliatoi. Non avevo mai pensato ci fosse qualcosa di male: ero stata i spogliatoi che davano davvero i brividi. Ma adesso che era nel gruppo A, in cui tutto era sempre pulito e profumato, lei continuava ad intrattenersi in uno dei bar o trovava una scusa per evitare di andare nello spogliatoio, e questo non riuscivo a capirlo.

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