L. - Neve

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- Quello che avete fatto è inaccettabile. Non ho mai, e ripeto, MAI visto una cosa del genere. Che cosa avete nel cervello? –

A quell'ultimo urlo saltai sulla sedia, mentre sentivo il petto agitarsi convulsamente.

All'interno della boss room, la stanza del coach Cresci al primo piano dell'SS, il nostro coach aveva il volto rosso dalla rabbia e le mani che si agitavano furiose quando non erano impegnate a sferrare pugni stretti contro il tavolo. 

Il suo tono di voce dava i brividi, ci guardava come se avesse voluto ucciderci all'istante. Il volto paonazzo rifletteva il colore candido della neve che a fiocchi si allentava sulle superfici azzurre dei campi A, dall'altra parte della lunga vetrata.

Accanto a me Giulia fissava l'allenatore con uno sguardo vitreo, come se ciò che diceva non la tangesse.

A due passi da lei, stravaccato sulla sedia e con la solita faccia arrogante, Orlando lo guardava provocatorio.

Lo sguardo di Cresci per un secondo si scatenò su Hugo, che di rimando fissava il suo coach intimorito.

- Siete deludenti. Non solo nel tennis, ma nella vita. Siete una continua delusione. Credete che il lavoro duro sia tirare quattro palline in mezzo al campo, fare due sorrisi alle telecamere? E bam! – sbattè violentemente la mano sul tavolo, facendomi saltare – Sono un tennista? -

Il coach iniziò a camminare avanti e indietro davanti a noi, le mani legate dietro al corpo, la testa bassa.

I capelli castano chiaro si appoggiavano sulla fronte imperlata di sudore, ma gli occhi erano sempre celati dietro gli occhiali azzurrini e illuminati.

- Questo non ha niente a che vedere con ciò che c'è là fuori! E prima lo imparerete, prima capirete quanto tempo state perdendo facendo bravate di cui non interessa niente a nessuno! –

Cresci abbassò le mani, appoggiandole sul tavolo, e alzò lo sguardo, più calmo.

Sapevo che gli attacchi d'ira erano tipici delle persone troppo tranquille: ad un certo punto esplodevano. Nonostante ciò, non avevo mai visto un attacco d'ira tanto composto.

- Se continuate così non andrete da nessuna parte. Se continuate a comportarvi come dei bambini, un giorno, senza che neanche ve ne rendiate conto, lì fuori non ci sarà uno che non vi farà a pezzi.

Se continuate a pensare alle buffonate per accaparrarvi attenzioni, ma poi vi fate superare dal primo che passa, beh... non dovreste neanche sprecare il vostro tempo qui! –

Subito dopo la stanza piombò nel silenzio, che presto si trasformò in disagio. Non sapevo dire se ero più spaventata dalle sue parole apocalittiche o dal suo aspetto furioso.

- Sono scontento. Molto scontento. E visto che non riesco ad avere né la vostra attenzione, né il vostro impegno, farò qualcosa che riuscirà a motivarvi di più, invece di obiettivi come un titolo major o un posto nella top ten.

Da questo momento vi informo che a tutti voi saranno decurtati 100 punti nella classifica finale di fine anno –

- Che cosa? – un urlo di rimando si sollevò quasi istantaneamente, senza che Cresci, rimasto impassibile, avesse finito di pronunciare le sue parole.

Alcuni "Non ha senso!" "No! Mi rifiuto!" si levarono in coro. Le facce rabbiose dei miei compagni si accalcavano.

Alessandro era in piedi, e adesso aveva perso tutta la sua calma e la sua aria sommessa per contrarre la mandibola prima, ed esplodere in un "Ma sei impazzito?" poi.

- No, non sono impazzito. È quello che meritano quelli come voi. Non siete che ragazzini, ragazzini che non hanno la stoffa per vincere.

Sono pagato per allenarvi, non per far ripetutamente umiliare il mio lavoro. E faccio quello che mi pare senza che VOI – alzò ancora il tono di voce – mi diciate quello che POSSO o NON POSSO fare! –

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