XLV. - Omissioni e bugie

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Rimasi seduta a quel tavolo per un po' a terminare il mio pranzo da sola, prima che arrivasse il momento giusto.

Non ero sicura di ciò che stavo facendo, neanche se avrebbe funzionato, ma per una volta l'unica cosa che potevo fare era mantenere i nervi saldi e aspettare.

Il ristorante si svuotò, erano tutti ai campi. Il rumore lontano di tazzine da caffè del bar era l'unico suono udibile.

- Guarda chi si rivede –

Rimasi zitta, muovendo lentamente il viso per guardarlo. Mi stava guardando con i suoi occhi scuri, sorridendo lievemente.

Sapevo che mi avrebbe cercato, e questa volta avevo fatto di tutto perchè mi trovasse.

- Quando avevi intenzione di dirmi che eri del TCI? – chiesi senza neanche salutarlo.

Ivan si sedette al tavolo. Il suo sguardo era pensieroso, ma non triste. Era come se mentre parlava avesse da pensare ad altre mille cose.

- Lo so, dovevo dirtelo. Mi dispiace. Non ho trovato un secondo per parlarti, eri sempre circondata da quelli del tuo gruppo e... – disse con un filo di voce.

- E non potevi farti vedere da loro, giusto? – lo sfidai.

- Non farmi sentire come se improvvisamente fossi diventato il cattivo -

- Come se non fosse così - sentenziai, con durezza. Lui fece un sospiro.

- Ho provato a farlo, dopo la partita, ma c'era il tuo amico e non avevo voglia di far scattare una rissa davanti a tutti –

- Marzio è sparito subito dopo la fine del match! – dissi, ancora più irritata. Ci mancava solo parlare di Marzio.

Lui aggrottò le sopracciglia. - Non sto parlando del tuo allenatore, figurati. Era così preso a parlare allo smart che a malapena si è ricordato di alzare lo sguardo quando è finita la partita. Dovreste proprio fare qualcosa per lui, non è la prima volta che capita – ammonì. 

Anche se ero contenta di sentirglielo dire perché questo confermava le mie supposizioni sulla distrazione del mio accompagnatore, non gliel'avrei data vinta in quel momento.

- E allora di chi parli? – chiesi acidamente, lo sguardo ancora concentrato verso le increspature della piscina.

- Di Fersini, ovviamente – pronunciò. Sentii un nodo allo stomaco.

- Ma che dici. Riccardo è passato a guardare un paio di punti e poi è andato via –

- Fidati, ho visto per un bel po' il match, ben nascosto. Lui era lì irremovibile a guardarsi la tua partita. Se vuoi davvero sapere come hai giocato dovresti chiedere a lui, piuttosto che al tuo allenatore –

Non sapevo se fidarmi di quelle parole, ma per Ivan era inutile mentire su una cosa del genere. Ma perché l'aveva fatto Riccardo, allora? E perché continuava a mentire?

Dentro di me una strana sensazione mi percorse, ma cercai di bloccarla. Aveva visto tutta la mia partita, non riuscivo a nascondere lo stupore e forse, in quello stupore c'era anche uno strano senso di felicità.

Poi però tornai sulla terra: probabilmente l'aveva fatto per prepararsi a prendermi in giro anche su quello, e chissà quanto gli dovevo essere sembrata ridicola con quella assurda strategia senza senso rifilatami dal mio stupido referente troppo concentrato allo smart per darmi retta.

- Comunque non mi stupisce che tu non l'abbia visto. Non era vicino al tuo allenatore, ma dall'altra parte degli spalti. A malapena me ne sono accorto io, dato che voi della Fenice siete famosi per la vostra falange oplitica... – disse sorridendo, cercando di sdrammatizzare. Ma non ero dell'umore.

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