XVII. - Niente sarà più come prima

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Le luci arancioni riflettevano il colore ancora più scuro della terra rossa. Erano le nove, eppure i due campi dello Sporting Club Verdiana, il circolo che mi aveva cresciuto, erano ancora pieni di vita. Tra quei pochi viali il rumore di palline colpite e di voci era assordante.

Avevo aspettato quel momento dal giorno dell'Opening. Il giorno in cui sarei andata a scusarmi con tutti loro.

Non li avevo avvisati. Era come una famiglia per me, e avevo lasciato che scoprissero del mio ingresso nel gruppo A insieme a migliaia di persone.

Dopo che Sasha mi aveva riconosciuto lo Sporting era andato in subbuglio. Eppure, a differenza di ciò che mi aspettavo, nessuno mi venne incontro urlando di essere stato tradito.

Anzi, tutti interruppero l'allenamento e cominciarono a festeggiare.

Laura e gli altri mi tirarono verso la tettoia, avevano appeso uno striscione di confratulazioni. All'improvviso capii che non era necessario chiedere scusa a qualcuno. Tutti, lì dentro, avevano già capito quello che c'era da capire.

Una volta terminata la festa entrai nell'ufficio del maestro Holm. Lui mi disse semplicemente che quello che mi stava capitando era il mio destino.

- Mi dispiace solo non aver avvisato – ammisi. Il maestro scoppiò in una risata che si trasformò in qualche colpo di tosse.

- So come vanno queste cose, non potevi. Per me è una soddisfazione sapere che una mia allieva è nel gruppo A. Ti auguro tutto il meglio, Beatrice. Sono orgoglioso di te e seguirò il tuo percorso alla Fenice -

Vidi qualcosa di diverso nel suo sguardo. Sembrava esausto, o triste.

- C'è qualcosa che non va? –

- Ma no... Mi mancherai. Tutto qui -

- Anche tu, maestro. Tutti voi –

Ci abbracciammo, poi capii che era ora di andare. Con le lacrime agli occhi, dopo aver salutato tutti, mi incamminai verso il cancello d'ingresso.

Mi voltai un'ultima volta a guardare quei campi e quei cari amici che mi salutavano. Lo capii in quel momento.

Quello non poteva che essere un addio.

Il giorno dopo correvo a perdifiato per il viale d'ingresso della Fenice, diretta verso la Casa. Ero in ritardo per l'appuntamento con Giulia. La campanella era suonata puntuale, ma la professoressa di matematica ci aveva trattenuto in classe un quarto d'ora. Quando arrivai al bar del piano terra Giulia era seduta ad uno dei tavoli, braccia conserte e piede che batteva insistentemente sul pavimento. Fissava uno degli screen appeso alla parete. Quando mi avvicinai la sua espressione contratta si sciolse.

- Ehi. Pensavo ti fossi tirata indietro – disse, alzandosi e indossando la giacca – Siamo ancora d'accordo? –

- Sì – dissi, seguendola fuori dalla Casa e cercando di sostenere il suo passo veloce sul cardo. 

- Bene. Perché abbiamo meno di un'ora. Dobbiamo  muoverci -

Percorremmo tutto il cardo, fino a raggiungere i campi D ed E. Invece di svoltare verso la palestra, iniziammo a costeggiare i campi da una parte e il recinto che ci separava dalla foresta dall'altra.

- Stiamo andando al... -

- ...al loft, esatto – mi anticipò. Di fronte a noi comparve un edificio grigio, a due piani, spigoloso ed esageratamente simmetrico. Attraversammo il cancello e il sentiero bianco, che brillava al sole dopo l'ultima pioggia. Tutt'intorno c'era un giardinetto molto curato, siepi alte, salici piangenti che vibravano al vento e cespugli enormi di foglie verde scuro. Al primo piano tre grandi aperture si affacciavano sulla terrazza centrale.

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