LXXX. - Prima pagina

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Eravamo ormai a pochi giorni dall'exhibition, il torneo di calcio procedeva in maniera imprevedibile, il weekend che si prospettava all'orizzonte era forse l'ultimo di vero riposo prima di essere travolti dai preparativi per il Master Finale, i campionati a squadre e la mia favolosa partecipazione agli Open di Francia.

Ce la stavo mettendo tutta, volevo essere pronta per la mia meravigliosa, prima apparizione in un torneo internazionale. E non uno qualunque.

Mi allenavo mattina e pomeriggio per recuperare, anche se lentamente, le mie condizioni. Ancora, nei momenti meno opportuni, i flash di quell'aggressione continuavano a comparire, sempre meno dettagliati, sempre più distanti. Mi sforzavo, cercavo di fermare quei minuti nella mia mente, di scovarne dettagli mai considerati prima.

Ma nulla, ogni volta che ci provavo li vedevo svanire davanti a me. L'identità del'aggressore sfumava nel nulla, come polvere soffiata via dalla copertina di un vecchio libro che mi ostinavo a conservare nell'armadio, ma che mai avrei voluto rileggere.

Il mio cervello si muoveva senza sosta, rifletteva su qualsiasi cosa, anche la più dolorosa, pur di non affrontare l'ennesima separazione da Riccardo. Per una volta però ero io a sentirmi in vantaggio, a tenere le redini del gioco. 

Lui aveva tentato di riavvicinarsi, e io l'avevo mandato via.

Eppure non c'era giorno in cui quei pensieri non mi inseguivano. Fuggivo da loro. Volevo sentirmi ancora così, ancora in vantaggio, per una volta. Inseguita, cercata da quel ragazzo che di solito lo faceva con me. Anche se scappare mi faceva stare ancora peggio.

Nonostante il mio desiderio di riposarmi e concentrarmi sui prossimi appuntamenti lavorativi, le mie amiche si erano opposte a questo riposo forzato, e avevano deciso di occupare la mia cucina, come Marina faceva ormai da otto anni: svuotandomi il frigorifero e parlando di qualsiasi cosa.

- Tua madre è ancora a Londra, tuo padre è al torneo con Luc e Massi. Tua sorella è come se non vivesse qui. Dammi un solo motivo per cui non dovremmo occupare casa tua nel weekend! – trillò Angela.

- Perché speravo di potermi rilassare un po'... - grugnii sottovoce, rimuovendo il filtro dalla teiera.

- Ma lo faremo! – assicurò in modo poco convincente Marina, ridacchiando.

- Ci manchi, Becs! Ti vediamo solo a scuola ormai, abbiamo bisogno di un po' di tempo con te! – proclamò.

Sullo schermo continuavano a girare le immagini di Orlando, Riccardo, tutti noi.

- Possiamo cambiare, per favore?

- Perché? – chiesero in coro.

- Sono stanca di sentire tutta questa roba. Sapete, io ho smesso di vedere e leggere tutte queste cose false, forse dovreste farlo anche voi.

- Ancora con questa storia? A me piace seguire il gruppo A, e anche le exhibition. Lo facevo prima e voglio continuare a farlo. Se poi non ne vuoi parlare, fai pure, ma il fatto che ora fai parte del gruppo non lo rende un argomento offlimits!

- Dovrebbe. La gente non si rende conto che non siamo solo intrattenimento, ma che siamo persone, che il loro tentativo di psicanalizzarci o bombardarci di notizie ci infastidisce.

Ebbi una sorta di deja vu, dopo aver detto quella frase.

- Per fortuna siete sempre rinchiusi alla Fenice, lontani dal mondo...

- È questa la cosa assurda. Non faccio niente di speciale, sono sempre rinchiusa ad allenarmi, eppure la gente continua a credere che facciamo chissà che vita spericolata. In accademia ci vedono camminare per i viali in tuta ogni giorno! È assurdo che la gente non lo veda.

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